00 01/12/2008 16:18
Il fenomeno dei videogiochi in crescita
Le condanne senza appello non aiutano a comprendere

Il fenomeno dei videogiochi in crescita
tra pregiudizi e opportunità

 

di Roberto Genovesi
Direttore artistico di Cartoons on the Bay
festival internazionale dell'animazione televisiva e multimediale

 

Esistono molte forme di pregiudizio. Alcune sono palesi e dunque facilmente contrastabili ma altre, quelle più subdole, appaiono le più difficili da combattere. Una tra le più frequenti è il pregiudizio culturale nei confronti dei nuovi strumenti di comunicazione. I videogiochi, forse anche a motivo della scarsa conoscenza che se ne ha nelle agenzie formative tradizionali, sono da tempo nel mirino di questo tipo di pregiudizio. Osteggiati, vilipesi, boicottati, sembrano essere, secondo la vulgata comune, i maggiori responsabili di quella decadenza valoriale ed emotiva che da qualche tempo ha minato i sogni delle giovani generazioni. Eppure un approccio diverso, più costruttivo e, dunque, più efficace all'universo della creatività interattiva può venire solo da una completa consapevolezza della vera consistenza del fenomeno.
E allora cominciamo con qualche dato. Nei primi cinque mesi del 2008 il mercato dei videogiochi, che è valutato complessivamente intorno ai quaranta miliardi di dollari, ha fatto registrare una crescita del 30 per cento con una stima per la fine dell'anno in corso del 44 per cento. Un mercato perciò in sicura espansione dal momento che ricavi e fatturato delle aziende del settore negli ultimi anni si contano sempre a due cifre. Una ricerca della Gfk marketing service per conto dell'Associazione delle aziende italiane del settore videoludico (Aesvi), prevede che il mercato dei videogiochi crescerà nel 2009 addirittura del 51 per cento. Il confronto con gli altri comparti dell'intrattenimento mostra i connotati di una lotta impari. Le vendite di videogiochi aumentano del 34,9 per cento contro un incremento di appena il 3,5 per i libri e, addirittura, un calo del 7,4 dell'homevideo e dell'8,1 della musica.
In base a dati aggiornati al 2007 le famiglie italiane che dedicano il tempo libero ai videogiochi sono oltre otto milioni, quasi un milione e mezzo in più rispetto all'anno precedente. Nel 2007 sono stati venduti in Italia trentaquattro videogiochi al minuto per ogni giorno dell'anno. Si tratta di numeri eloquenti che dimostrano come quella dei videogame non sia una moda passeggera ma cominci a diventare paradigma del tempo libero di gran parte delle famiglie italiane.
Eppure le agenzie educative - famiglia, scuola e parrocchia - sembrano impreparate a fronteggiare il cambiamento. Influenzate da giudizi sommari, spesso provenienti da opinionisti e politici disposti a cavalcare l'onda del qualunquismo pur di apparire digeribili per il talk show di turno, preferiscono la sicurezza dell'anatema al più complesso e coinvolgente sentiero della riflessione. Un grave errore che sta allargando sempre di più lo spartiacque tra l'universo delle giovani generazioni, con le loro abitudini e i loro linguaggi, e quello degli adulti. Quando invece i "grandi" dovrebbero soffermarsi di più sul mondo dei ragazzi e a sforzarsi per comprenderne a fondo tutte le peculiarità spesso sottovalutate o, addirittura, ignorate. I videogiochi fanno parte di uno scenario complesso e articolato che ha ormai trasformato la cameretta di un bambino in una sorta di "isola che non c'è" dalle forti componenti multimediali. Urlare divieti usando la grancassa dei media, dunque, non solo non basta, ma non serve e non aiuta.
Sfatiamo una serie di luoghi comuni. I videogiochi non sono destinati in esclusiva ai bambini. Si tratta di prodotti creativi interattivi che, come un film, un fumetto o un romanzo, si rivolgono a pubblici diversi. Per capire se un videogioco è adatto a un bambino o a un adolescente non occorre prendere un appuntamento con uno psicologo per l'infanzia né una laurea in informatica. Basta osservare con attenzione la confezione. Possibilmente prima dell'acquisto. Dal 2003 infatti, ogni videogioco originale destinato al mercato italiano riporta sulla scatola un numero e un simbolo grafico. Si tratta del codice Pegi (Pan european game information) voluto dalle aziende di settore per aiutare le famiglie a un acquisto consapevole dei videogiochi. Il numero indica l'età consigliata (+7, per esempio, indica che il gioco è adatto a un bambino che ha almeno sette anni) mentre il simbolo indica il contenuto del gioco stesso.
Sommando le due indicazioni è praticamente impossibile avere delle sorprese. Immaginiamo però di trovarci in una fase successiva all'acquisto, avvenuto magari senza il consenso dei genitori o in loro assenza. Ebbene, anche in questo caso è possibile rimediare poiché tutte le consolle di nuova generazione (PlayStation 3, Xbox 360, Wii Nintendo, e così via) sono dotate di un parental control che consente di predisporre il lettore per impedire l'uso di videogiochi con un codice Pegi non adatto all'età del suo fruitore. Se in una famiglia, per esempio, c'è un bambino di otto anni e i suoi genitori vogliono evitare che giochi con un prodotto non adatto alla sua età, basta bloccare la consolle alla visione di videogiochi classificati da +12 in poi, un po' come accade per il decoder dei canali televisivi satellitari. Ferme restando queste precauzioni è ovvio che occorre fare affidamento anche su negozianti coscienziosi non disposti a vendere a un bambino un gioco dichiaratamente a lui non rivolto.
La commissione europea preposta al controllo dell'applicazione del codice Pegi sta lavorando, anche in collaborazione con i governi nazionali, per rendere questo strumento sempre più chiaro ed efficace. Non è corretto continuare a dire che i videogiochi rappresentano un pericolo per i nostri bambini perché ci sono videogiochi e videogiochi, come genitori e genitori. Più attenti, più preparati, più consapevoli. Una postura sbagliata, l'eccessiva esposizione, una naturale predisposizione a fenomeni di epilessia, illuminazione inappropriata e traumi da micromovimenti ripetuti, sono i nemici da combattere ma un videogioco deve essere visto anche come una risorsa didattica e pedagogica. Pochi altri oggetti ludici sono in grado di garantire oggi appetibilità estetica e quella sana dose di competitività per stimolare un bambino a comprendere senza apparente fatica le fondamentali nozioni del vivere quotidiano.
Attraverso un videogioco si possono imparare le lingue dialogando con un drago, si può comprendere come aiutare un ammalato simulando la vita di un dottore oppure si possono trovare nuovi amici cercando tesori. Stimoli che vengono non da giochi "educativi" ma da giochi ben fatti. Quando eravamo piccoli abbiamo imparato molto giocando a guardie e ladri o leggendo una bella storia di Topolino, anche se ce ne siamo accorti solo molti anni dopo. Lasciamo che anche i nostri bimbi imparino divertendosi. E un buon videogioco, scelto con attenzione e consapevolezza, magari condiviso con mamma e papà, è lo strumento ideale per imparare sognando.




(©L'Osservatore Romano - 30 novembre 2008)