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Papa Ratzinger ha iniziato a rispondere all’ultima domanda (The Final Question)

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    00 06/12/2008 16:29
    Il Papa ai partecipanti alla sessione plenaria della Commissione Teologica Internazionale

    La legge naturale garanzia
    contro manipolazioni e soprusi sull'uomo

     

    "La legge naturale costituisce la vera garanzia offerta a ognuno per vivere libero e rispettato nella sua dignità di persona". Lo ha ribadito Benedetto XVI nel discorso ai partecipanti alla sessione plenaria della Commissione Teologica Internazionale, ricevuti in udienza nella mattina di venerdì 5 dicembre, nella Sala dei Papi.

    Venerati Fratelli nell'Episcopato e nel Sacerdozio,
    Illustri Professori,
    cari Collaboratori,
    è con vera gioia che vi accolgo al termine dei lavori della Vostra annuale Sessione Plenaria, che, questa volta, coincide anche con la conclusione del settimo quinquennio dalla creazione della Commissione Teologica Internazionale. Desidero innanzitutto esprimere un sentito ringraziamento per le parole di omaggio che, a nome di tutti, Mons. Luis Francisco Ladaria Ferrer, in qualità di Segretario Generale della Commissione Teologica Internazionale, ha voluto rivolgermi nell'indirizzo di saluto. Il mio ringraziamento si allarga, poi, a tutti Voi che, nel corso del quinquennio, avete speso le vostre energie in un lavoro veramente prezioso per la Chiesa e per colui che il Signore ha chiamato a svolgere il ministero di Successore di Pietro.
    Di fatto, i lavori di questo settimo "quinquennio" della Commissione Teologica Internazionale hanno dato già un frutto concreto, come Mons. Ladaria Ferrer ha ricordato, con la pubblicazione del documento "La speranza della salvezza per i bambini che muoiono senza battesimo", e si apprestano a raggiungere un altro importante traguardo con il documento "Alla ricerca di un'etica universale:  nuovo sguardo sulla legge naturale", che deve essere ancora sottoposto agli ultimi passi previsti dalle Norme degli Statuti della Commissione, prima della definitiva approvazione. Come ho avuto modo già in precedenti occasioni di affermare, ribadisco la necessità e l'urgenza, nel contesto odierno, di creare nella cultura e nella società civile e politica le condizioni indispensabili per una piena consapevolezza del valore irrinunciabile della legge morale naturale. Anche grazie allo studio che Voi avete intrapreso su questo argomento fondamentale, risulterà chiaro che la legge naturale costituisce la vera garanzia offerta ad ognuno per vivere libero e rispettato nella sua dignità di persona, e per sentirsi difeso da qualsivoglia manipolazione ideologica e da ogni sopruso perpetrato in base alla legge del più forte. Sappiamo tutti bene che in un mondo formato dalle scienze naturali il concetto metafisico della legge naturale è quasi assente, incomprensibile. Tanto più, vedendo questa sua fondamentale importanza per le nostre società, per la vita umana, è necessario che sia di nuovo riproposto e reso comprensibile nel contesto del nostro pensiero questo concetto:  il fatto, cioè, che l'essere stesso porta in sé un messaggio morale e un'indicazione per le strade del diritto.
    Riguardo poi al terzo tema, Senso e metodo della Teologia, che è stato in questo quinquennio Vostro particolare oggetto di studio, mi preme sottolineare la sua rilevanza e attualità. In una "società planetaria" com'è quella che oggi va formandosi, ai teologi viene chiesto dall'opinione pubblica soprattutto di promuovere il dialogo tra le religioni e le culture, di contribuire allo sviluppo di un'etica che abbia come proprie coordinate di fondo la pace, la giustizia, la difesa dell'ambiente naturale. E si tratta realmente di beni fondamentali. Ma una teologia limitata a questi obiettivi nobili perderebbe non solo la sua propria identità, ma il fondamento stesso di questi beni. La prima priorità della teologia, come indica già il suo nome, è parlare di Dio, pensare Dio. E la teologia parla di Dio non come di una ipotesi del nostro pensiero. Parla di Dio perché Dio stesso ha parlato con noi. Il vero lavoro della teologia è entrare nella parola di Dio, cercare di capirla per quanto possibile e di farla capire al nostro mondo, e trovare così le risposte alle nostre grandi domande. In questo lavoro appare anche che la fede non solo non è contraria alla ragione, ma apre gli occhi della ragione, allarga il nostro orizzonte e ci permette di trovare le risposte necessarie alle sfide dei diversi tempi.
    Dal punto di vista oggettivo, la verità è la Rivelazione di Dio in Cristo Gesù, che richiede come risposta l'obbedienza della fede in comunione con la Chiesa e il suo Magistero. Recuperata così l'identità della teologia, intesa come riflessione argomentata, sistematica e metodica sulla Rivelazione e sulla fede, anche la questione del metodo viene illuminata. Il metodo in teologia non potrà costituirsi solo in base ai criteri e alle norme comuni alle altre scienze, ma dovrà osservare innanzitutto i principi e le norme che derivano dalla Rivelazione e dalla fede, dal fatto che Dio ha parlato.
    Dal punto di vista soggettivo, cioè dal punto di vista di colui che fa teologia, la virtù fondamentale del teologo è di cercare l'obbedienza alla fede, l'umiltà della fede che apre i nostri occhi:  questa umiltà che rende il teologo collaboratore della verità. In questo modo non accadrà che egli parli di se stesso; interiormente purificato dall'obbedienza alla verità, arriverà invece a far sì che la Verità stessa, che il Signore possa parlare tramite il teologo e la teologia. Al tempo stesso otterrà che, per suo tramite, la verità possa essere portata al mondo.
    D'altra parte, l'obbedienza alla verità non significa rinuncia alla ricerca e alla fatica del pensare; al contrario, l'inquietudine del pensiero, che indubbiamente non potrà mai essere nella vita dei credenti del tutto placata, dal momento che sono anch'essi nel cammino della ricerca e dell'approfondimento della Verità, sarà tuttavia un'inquietudine che li accompagna e li stimola nel pellegrinaggio del pensiero verso Dio, e risulterà così feconda. Auspico pertanto che la Vostra riflessione su queste tematiche giunga a riportare alla luce gli autentici principi e il significato solido della vera teologia, così da percepire e comprendere sempre meglio le risposte che la Parola di Dio ci offre e senza le quali non possiamo vivere in modo sapiente e giusto, perché solo così si apre l'orizzonte universale, infinito della verità.
    Il mio grazie per il vostro impegno e la vostra opera nella Commissione Teologica Internazionale durante questo quinquennio è quindi, nello stesso tempo, un augurio cordiale per il lavoro futuro di questo importante organismo a servizio della Sede Apostolica e della Chiesa intera. Nel rinnovare l'espressione di sentimenti di soddisfazione, di affetto e di gioia per l'odierno incontro, invoco dal Signore, per intercessione della Vergine Santissima, copiosi lumi celesti sul Vostro lavoro e di cuore Vi imparto una speciale Benedizione Apostolica, estensibile alle persone care.



    (©L'Osservatore Romano - 6 dicembre 2008)





    La conversione di Paolo al centro della predica di Avvento

    Un invito a fare esperienza
    di Cristo

     

    "L'anno paolino è una grazia grande per la Chiesa, ma presenta anche un pericolo:  quello di fermarsi a Paolo, alla sua personalità, alla sua dottrina, senza fare il passo successivo da lui a Cristo". A mettere in guardia da questo rischi0 è il padre Raniero Cantalamessa. Il cappuccino ne ha parlato nella prima predica di Avvento tenuta, alla presenza di Benedetto XVI, venerdì mattina 5 dicembre, nella cappella Redemptoris Mater in Vaticano.
    Il tema per le prediche di quest'anno - tratto dalla Lettera ai Galati - "Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio nato da donna", del resto si prestava alla riflessione. Nella prima il predicatore della Casa Pontificia ha sviluppato il tema della conversione dell'Apostolo. Dopo aver messo in guardia dal rischio di fermarsi a Paolo invece di focalizzarsi su Cristo, il cappuccino ha sottolineato un altro sbaglio:  fermarsi alla dottrina paolina senza "lasciarci contagiare dal suo amore e dal suo fuoco per lui". Le meditazioni di quest'anno cercheranno, appunto, di indurre non solo alla conoscenza, ma anche all'amore per il Redentore. Il predicatore ha fatto notare come della conversione di san Paolo vi sono due diverse narrazioni. "Una che descrive l'evento - ha detto - dall'esterno in chiave storica e un'altra che descrive l'evento dall'interno, in chiave psicologica o autobiografica". La prima si trova negli Atti degli Apostoli, la seconda nel capitolo 3 della Lettera ai Filippesi. L'incontro di Paolo con Cristo "ha diviso la sua vita in due, ha creato un prima e un poi. Un incontro personalissimo (è l'unico testo dove l'apostolo usa il singolare "mio", non "nostro" Signore) e un incontro esistenziale più che mentale". La vita dell'Apostolo venne sconvolta da questo incontro, tanto che dichiarò essere "anatema chi osasse predicare un vangelo diverso". Da dove viene tanta insistenza di Paolo, se non perché in essa è contenuta la novità cristiana, "quello che la distingue da ogni altra religione o filosofia religiosa. Ogni proposta religiosa comincia dicendo agli uomini quello che devono fare per salvarsi o ottenere la "Illuminazione". Il cristianesimo non comincia dicendo agli uomini quello che devono fare, ma quello che Dio ha fatto per loro in Cristo Gesù. Il cristianesimo è la religione della grazia. C'è posto - e come - per i doveri e l'osservanza dei comandamenti, ma dopo, come risposta alla grazia, non come sua causa o suo prezzo. Non ci si salva per le buone opere, anche se non ci si salva senza le buone opere. È una rivoluzione di cui, a distanza di duemlia anni, ancora stentiamo a prendere coscienza".
    Padre Cantalamessa ha poi evidenziato come la conversione di san Paolo sia il modello stesso della vera conversione cristiana, che "consiste anzitutto nell'accettare Cristo, nel "rivolgersi" a lui mediante la fede. Essa è un trovare prima che un lasciare. Gesù non dice:  un uomo vendette tutto quello che aveva e si mise alla ricerca di un tesoro nascosto; dice:  un uomo trovò un tesoro e per questo vendette tutto". Essendo la conversione un'esperienza da vivere, l'Anno paolino è un'occasione propizia per sperimentarla. Il predicatore ha poi affrontato il tema del sacrum commercium tra noi e Dio realizzato in Cristo:  quello che è mio, cioè il peccato, la debolezza, diventa di Cristo; quello che è di Cristo, cioè la santità, diventa mio. Nella Chiesa cattolica, ha concluso padre Cantalamessa, "abbiamo un mezzo privilegiato per fare questa esperienza concreta e quotidiana di questo sacro scambio e della giustificazione per grazia, mediante la fede:  i sacramenti".



    (©L'Osservatore Romano - 6 dicembre 2008)

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    00 17/12/2008 09:30
    Quando le critiche prescindono dalla realtà

    Quando le critiche prescindono dalla realtà


    Quarant'anni fa, in pieno Sessantotto, il libro sul Simbolo apostolico (una delle più antiche formulazioni della fede cristiana) di un giovane e brillante teologo tedesco si rivelò un sorprendente successo editoriale, che il trascorrere del tempo ha confermato e rafforzato. Un best seller inatteso e di lunga durata che ha conosciuto un'ulteriore diffusione dopo che il suo autore, Joseph Ratzinger, è stato eletto vescovo di Roma e ha scelto il nome di Benedetto XVI.
    Proprio all'inizio della sua Introduzione al cristianesimo, per mostrare la difficoltà di parlare di Dio nel mondo di oggi l'autore si serve di un apologo narrato da Søren Kierkegaard. Un circo s'incendiò e a chiamare aiuto nel villaggio vicino fu mandato in tutta fretta un clown, "già abbigliato per la recita". C'era infatti il pericolo che s'incendiasse anche il villaggio. Ma i paesani "presero le grida del pagliaccio unicamente per un astutissimo trucco del mestiere", e lo applaudivano. "Il povero clown aveva più voglia di piangere che di ridere; e tentava inutilmente di scongiurare gli uomini ad andare, spiegando loro che non si trattava affatto d'una finzione, d'un trucco, bensì d'una amara realtà, giacché il circo stava bruciando per davvero. Il suo pianto non faceva altro che intensificare le risate:  si trovava che egli recitava la sua parte in maniera stupenda". E quando il fuoco arrivò al villaggio era troppo tardi, cosicché circo e villaggio finirono distrutti.
    Per il teologo Ratzinger tuttavia la questione di chi getta l'allarme non basta per risolvere il problema della credibilità della fede cristiana, che resta comunque l'unica salvezza dall'abisso. La questione non è infatti solo teologica in senso astratto, ma riguarda ognuno perché il villaggio evocato da Kierkegaard rischia davvero d'incendiarsi. Come avviene nella vita di ogni giorno tra difficoltà economiche, ingiustizie e uno smarrimento etico che arriva a dubitare della stessa natura dell'identità umana, messa in discussione e che anzi una parte del mondo scientifico vorrebbe manipolare o addirittura trasformare.
    Da teologo e da pastore, per tutta la vita Ratzinger ha, senza stancarsi, cercato di allargare gli spazi della ragione e di rendere comprensibile la scelta cristiana alle donne e agli uomini di oggi, e questo compito ha assunto sin dal primo giorno del suo pontificato. Benedetto XVI non alza la voce, ragiona pacatamente e invita a ragionare, chiedendo di essere ascoltato, mirando sempre all'essenziale e invitando alla concretezza. Rivolto ai cattolici e a quanti non lo sono, con risultati già molto positivi, come sta avvenendo, per esempio, nei confronti dell'ebraismo e dell'islam. Questo intento e questo sforzo continuo del Papa sono in genere riconosciuti, ma spesso si levano critiche.
    Critiche discutibili se manifestano un disaccordo che, naturalmente, è più che legittimo; inaccettabili invece quando stravolgono l'immagine di un uomo che è sotto gli occhi di tutti:  come quest'anno è avvenuto, oltre che nella vita quotidiana del vescovo di Roma, soprattutto nelle visite che ha compiuto negli Stati Uniti, in Australia, in Francia, e in particolare tra i giovani. Visite che hanno cancellato la caricatura del "grande inquisitore", un'etichetta applicata malamente al cardinale Ratzinger, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede.
    Ora la caricatura ritorna con l'immagine di un Papa che sarebbe chiuso in raffinate elaborazioni intellettuali, intenzionato a ripetere sempre no, con spietatezza, sordo alla modernità, ostile alle altre religioni, capace solo di avere ripristinato la messa preconciliare in latino e riformato le uniformi della sua gendarmeria. Se questi giudizi non si fossero letti su un diffuso quotidiano italiano sembrerebbero battute, e vanno respinti perché possono fare opinione, prescindendo dalla realtà in modo irresponsabile. Benedetto XVI è criticato perché non solo sostiene la visione cristiana della vita umana ma perché la dichiara ragionevole e condivisibile anche da molti che cristiani non sono, levando alta e pacata la voce in difesa di ogni essere umano. E questo a molti non piace.

    g. m. v.



    (©L'Osservatore Romano - 17 dicembre 2008)
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    00 22/12/2008 12:30
    Il discorso di Benedetto XVI all'Azione Cattolica Ragazzi

    Per i piccoli del mondo un futuro
    senza più armi, terrorismo e guerra


    Niente più armi, terrorismo e guerra nel futuro dei bambini del mondo:  è la speranza espressa da Benedetto XVI durante l'udienza all'Azione Cattolica Ragazzi, svoltasi nella mattina di sabato 20 dicembre, nella Sala del Concistoro. Il Papa ha invitato i ragazzi "a incontrare Gesù, ad amare la sua Chiesa e interessarsi ai problemi del mondo", impegnandosi soprattutto per i piccoli che soffrono la fame e le malattie.

    Cari ragazzi dell'A-ci-erre (A.c.r.),
    sono molto contento che anche quest'anno, all'approssimarsi del santo Natale, siate venuti a rallegrare con la vostra presenza questi palazzi solenni, in cui peraltro c'è sempre la gioia di servire il Signore. Saluto con voi i vostri educatori, il Presidente dell'Azione Cattolica Italiana, l'Assistente generale e il vostro nuovo Assistente nazionale, don Dino.
    Tanti dicono che i ragazzi sono capricciosi, che non si accontentano mai di niente, che consumano i giochi uno dopo l'altro senza esserne contenti. Voi invece a Gesù dite:  mi basti Tu! Che significa:  Tu sei il nostro amico più caro, che ci fa compagnia quando giochiamo e quando andiamo a scuola, quando stiamo in casa con i nostri genitori, i nonni, i fratellini e sorelline e quando andiamo fuori con gli amici. Tu ci apri gli occhi per accorgerci dei nostri compagni tristi e dei tanti bambini del mondo che soffrono la fame, la malattia e la guerra. Ci basti Tu, Signore Gesù, Tu ci dai la gioia vera, quella che non finisce come i nostri giochi, ma scende nell'anima e ci rende buoni. Ci basti Tu soprattutto quando ti preghiamo, perché Tu ascolti sempre le nostre preghiere, che facciamo perché il mondo diventi più bello e più buono per tutti. Ci basti Tu, perché ci perdoni quando combiniamo qualche guaio; ci basti Tu, perché se ci perdiamo, ci vieni a cercare e ci prendi in braccio come hai fatto con la pecorella che si era smarrita. Ci basti Tu perché hai una Mamma bellissima che, prima di morire in croce, hai voluto far diventare anche la nostra Mamma.
    Cari piccoli amici, volete aiutare anche i vostri compagni a stare così con Gesù? Un ragazzo dell'A-ci-erre è uno che, quando va da Gesù, ama portare con sé anche qualche amico, perché glielo vuol far conoscere; non pensa solo a sé, ma ha il cuore grande e attento agli altri. Voi avete tanti educatori che vi aiutano a vivere insieme, a pregare e a crescere nella conoscenza del Vangelo. L'Azione Cattolica ha come scopo vero quello di aiutarvi a diventare santi; per questo vi aiuta a incontrare Gesù, ad amare la sua Chiesa e a interessarvi dei problemi del mondo. Non è forse vero che vi state impegnando per bambini e ragazzi più sfortunati di voi? Non è forse vero che con il "mese della pace", potete far apprezzare la pace anche a tanti adulti, perché sapete vivere in pace tra di voi?
    Sì, cari ragazzi, voi potete pregare il Signore perché cambi il cuore dei costruttori di armi, faccia rinsavire i terroristi, converta il cuore di chi pensa sempre alla guerra e aiuti l'umanità a costruire un futuro migliore per tutti i bambini del mondo. Sono sicuro anche che voi pregherete per me, aiutandomi così nel non facile compito che il Signore mi ha affidato. Quanto a me, vi assicuro il mio affetto, la mia preghiera, mentre ora volentieri vi benedico assieme a tutte le persone che vi sono care. Buon Natale a voi, alle vostre famiglie e a tutti i ragazzi dell'Azione Cattolica!



    (©L'Osservatore Romano - 21 dicembre 2008)


     



    Il discorso del Papa al Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana

    Una società veramente umana
    non smarrisce le radici culturali e spirituali


    L'invito a intensificare "la ricerca delle radici cristiane della nostra società" è stato rivolto dal Papa a docenti e studenti del Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana, ricevuti sabato mattina, 20 dicembre, nella Sala Clementina.

    Signor Cardinale,
    cari fratelli e sorelle!
    Con vero piacere accolgo e saluto ciascuno di voi, che fate parte del Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana. Saluto, in primo luogo, il Gran Cancelliere, il Cardinale Zenon Grocholewski, e lo ringrazio per le parole con le quali si è fatto cortese interprete dei comuni sentimenti. Saluto il Rettore, il Corpo docente, i collaboratori e gli studenti. L'odierno gradito incontro mi offre l'opportunità di manifestare vivo apprezzamento per la preziosa e feconda attività culturale, letteraria ed accademica che svolge il vostro Istituto a servizio della Chiesa e, più in generale, della cultura.
    So infatti che, negli ambiti tradizionali dell'archeologia, sono di notevole rilevanza scientifica i corsi ordinari e di specializzazione mediante i quali il vostro Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana si propone di far conoscere i monumenti paleocristiani soprattutto di Roma, con ampi riferimenti alle altre regioni dell'Orbis christianus antiquus. Anche la "Rivista" e l'attività scientifica di docenti ed ex alunni, nonché la promozione di Congressi internazionali mira, nei vostri intendimenti, a venire incontro alle attese di quanti hanno a cuore la conoscenza e lo studio delle ricche memorie storiche della comunità cristiana. Precipuo scopo del vostro Istituto è proprio lo studio delle vestigia della vita ecclesiale lungo i secoli. Voi offrite l'opportunità, a chi sceglie questa disciplina, di inoltrarsi in una realtà complessa, quella appunto della Chiesa dei primi secoli, per "comprendere" il passato rendendolo presente agli uomini di oggi. "Comprendere" per voi è come immedesimarvi con il passato che emerge attraverso gli ambiti tipici dell'archeologia cristiana:  l'iconografia, l'architettura, l'epigrafia e la topografia. Quando si tratta di descrivere la storia della Chiesa, che è "segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano" (LG 1), la paziente ricerca dell'archeologo non può prescindere dal penetrare pure le realtà soprannaturali, senza tuttavia rinunciare all'analisi rigorosa dei reperti archeologici.
    In effetti, come a voi è ben noto, non è possibile una completa visione della realtà di una comunità cristiana, antica o recente che essa sia, se non si tiene conto che la Chiesa è composta di un elemento umano e di un elemento divino. Cristo, il suo Signore, abita in essa e l'ha voluta come "comunità di fede, di speranza, di carità, quale organismo visibile, attraverso il quale diffonde per tutti la verità e la grazia" (LG 8). In questa pre-comprensione teologica, il criterio di fondo non può che essere quello di lasciarsi conquistare dalla verità ricercata nelle sue autentiche fonti, con un animo sgombro da passioni e pregiudizi, essendo l'archeologia cristiana una scienza storica, e come tale basata sullo studio metodico delle fonti.
    La diffusione della cultura artistica e storica in tutti i settori della società fornisce agli uomini del nostro tempo i mezzi per ritrovare le proprie radici e per attingervi gli elementi culturali e spirituali che li aiutino ad edificare una società a dimensione veramente umana. Ogni uomo, ogni società, ha bisogno di una cultura aperta alla dimensione antropologica, morale e spirituale dell'esistenza. È pertanto mio fervido auspicio che, grazie anche al lavoro del vostro benemerito Istituto, prosegua ed anzi si intensifichi la ricerca delle radici cristiane della nostra società. L'esperienza del vostro Istituto prova che lo studio dell'archeologia, specialmente dei monumenti paleocristiani, consente di approfondire la conoscenza della verità evangelica che ci è stata trasmessa, ed offre l'opportunità di seguire i maestri e testimoni della fede che ci hanno preceduto. Conoscere l'eredità delle generazioni cristiane passate permette a quelle successive di mantenersi fedeli al depositum fidei della prima comunità cristiana e, proseguendo sullo stesso cammino, continuare a far risuonare in ogni tempo e in ogni luogo l'immutabile Vangelo di Cristo. Ecco perché, accanto ai pur importanti risultati ottenuti in campo scientifico, il vostro Istituto si preoccupa giustamente di offrire un proficuo contributo alla conoscenza e all'approfondimento della fede cristiana. Accostarsi alle "vestigia del Popolo di Dio" è un modo concreto di constatare come i contenuti dell'identica ed immutabile fede sono stati accolti e tradotti in vita cristiana secondo le mutevoli condizioni storiche, sociali e culturali, lungo l'arco di molti secoli.
    Cari fratelli e sorelle, continuate a promuovere la custodia e l'approfondimento della vastissima eredità archeologica di Roma e delle varie regioni del mondo antico, consapevoli della missione propria del vostro Istituto, quella cioè di servire la storia e l'arte valorizzando le numerose testimonianze che la "Città eterna" possiede della civiltà occidentale, della cultura e della spiritualità cattolica. Si tratta di un patrimonio prezioso formatosi nel corso di questi due millenni, un tesoro inestimabile di cui siete amministratori e dal quale occorre, come fa lo scriba del Vangelo, trarre incessantemente del nuovo e dell'antico (cfr. Mt 13, 52). Con questi auspici, nell'imminenza ormai del Santo Natale, formulo fervidi voti augurali  per  voi  e  per  le  persone  a  voi care, mentre di cuore tutti vi benedico.



    (©L'Osservatore Romano - 21 dicembre 2008)

    I bambini e il Papa che spiega la fede


    La capacità di ascolto di Benedetto XVI appare specialmente nei suoi incontri con i ragazzi e i bambini. Sa ascoltare anche gli adulti, dialogare con i dotti. Con i vescovi, al termine delle udienze generali, parla stando in piedi. Non si atteggia a maestro e professore, piuttosto racconta magnificamente le scoperte maturate nella sua ricerca culturale; sa comunicare la dottrina della fede radicandola nella vita quotidiana.
    L'anno scorso il fotografo del nostro giornale ha illustrato bene l'attitudine di Benedetto XVI all'ascolto e al rispetto cogliendolo in attesa ai piedi della scaletta che immette alla finestra del suo appartamento prospiciente piazza San Pietro. La celebre finestra dove si affaccia il Papa e che egli cede ai ragazzi dell'Azione Cattolica una volta l'anno. L'immagine coglie con straordinaria abilità l'istante in cui nella penombra Papa Ratzinger attende che la ragazza finisca di parlare dalla finestra. Attende il suo turno ed è felice nella sua attesa. Benedetto XVI viene definito il Papa teologo, ma a motivo della sua chiarezza e della capacità di enunciare in forme semplici concetti difficili è un grande pedagogo della fede. Perciò è capito dai ragazzini. I bambini non hanno la sensazione che sia un cattivo maestro. E non lo percepiscono neppure come un noioso professore che mortifica la loro voglia di gioia e letizia. I bambini stanano gli adulti antipatici, prepotenti, vanitosi, tediosi, inutilmente esigenti. Provano disagio, non ci stanno volentieri. Si pensi alla scuola per convincersene.
    Papa Benedetto nonostante la sua natura schiva fino alla timidezza, con i giovani riesce nel capolavoro educativo che don Bosco chiedeva agli educatori:  non solo voler bene ai giovani ma far sì che i giovani si accorgano di essere amati. È piuttosto improbabile che una persona squisita nel tratto e di aperta intelligenza sia poi capace solo di dire dei no o che pensi a una Chiesa arroccata come la migliore Chiesa possibile.
    E, in realtà, Benedetto XVI è davvero diverso da come solitamente lo si dipinge in maniera sbrigativa. Lo si può anche presentare come il capro espiatorio di ogni tipo di rivendicazioni nei confronti della Chiesa, ma non si può sostenere a cuor leggero che egli, rispetto al passato recente, abbia alzato barriere con le culture, le religioni, le attese di giustizia e solidarietà. Rispetto ai suoi immediati predecessori vincolati alla realizzazione degli indirizzi conciliari, Benedetto XVI si ritiene non meno vincolato, ma chiede ancora più responsabilità a ognuno dei suoi interlocutori di ogni fede e cultura.
    L'andare in profondità comporta infatti un'assunzione di responsabilità maggiore per portare a soluzione i problemi. Benedetto XVI, per cultura e temperamento, va oltre il manierismo di facciata e punta a consolidare il percorso conciliare. Le riforme per restare al servizio della fede della Chiesa devono diventare una forma mentale del popolo di Dio.
    Sono rimasto sempre colpito da un esempio che tocca uno dei punti più caldi e dibattuti nei decenni passati nell'ambito della Chiesa cattolica. Ratzinger, che una disinvolta pubblicistica annovera tra gli avversari della teologia della liberazione, è lo stesso che da Papa, ad Aparecida nel cuore dell'America Latina, certifica che "l'opzione preferenziale per i poveri è implicita nella fede cristologica in quel Dio che si è fatto povero per noi, per arricchirci con la sua povertà". Senza enfasi, il Papa pone così fine, in termini aperti e liberanti, a un lungo e doloroso contenzioso.
    Analoghi esempi si possono registrare su grandi tematiche dell'essere cristiani oggi, quali sono considerati il dialogo con gli ebrei e con le altre religioni. Un fronte certamente delicato nel quale Benedetto XVI ha inaugurato la stagione del consolidamento, necessaria dopo il riconoscimento di passate responsabilità di membri della Chiesa.
    Nella storia, al momento emozionante delle svolte, segue un tempo più difficile, quello di dare contenuti a queste svolte per rendere il cambiamento un patrimonio comune e condiviso. Fondando l'incontro con l'ebraismo sulla tradizione biblica, Papa Benedetto ha irrobustito in via definitiva la nuova stagione di colloquio con il popolo ebraico sancita dal concilio. La presenza di un rabbino che parla al sinodo dei vescovi, massima espressione di collegialità nella vita ordinaria della Chiesa, può forse non suscitare emozioni, ma segna una tappa storica. Come pure il dialogo approfondito con l'islam. Il recente colloquio in Vaticano dimostra che c'è sostanza oltre l'immagine affascinante della visita alla moschea di Istanbul. Il dialogo tra le religioni posto dentro il dialogo interculturale viene rafforzato e non indebolito.
    Nell'ambito civile Benedetto ha messo al centro dei rapporti internazionali il rispetto reale dei diritti umani come opera di giustizia. Ha proposto il disarmo nucleare, l'impiego delle spese degli armamenti per vincere la fame nel mondo, il diritto di cittadinanza e accoglienza al di là dell'origine e della provenienza geografica. Ha chiesto alla Chiesa e ai suoi ministri di rispettare le competenze e le responsabilità della politica, che in ogni Paese deve garantire il bene comune e la giustizia.
    Anche sui temi della bioetica, quelli più immediatamente sensibili nella pubblica opinione occidentale, Benedetto XVI ha trattato questioni e aperto domande impegnative per far maturare una comune coscienza condivisa di fedeltà a Dio e all'uomo del nostro tempo. La modernità del Papa sta nel suo saper porre interrogativi di senso alla scienza e alla coscienza. Possono apparire scomodi, a volte, ma non sono mai banali. E mostrano che i suoi occhi scrutano il futuro.

    c. d. c.



    (©L'Osservatore Romano - 21 dicembre 2008)
    [Modificato da zsbc08 22/12/2008 12:31]
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    00 23/12/2008 11:21
    All'Angelus il Papa afferma che capire meglio le leggi della natura significa anche avvicinarsi a Dio

    L'astronomia
    segna i tempi della preghiera


    La funzione dell'astronomia nello scandire i tempi della preghiera è stata ricordata da Benedetto XVI all'Angelus del 21 dicembre. Durante l'appuntamento mariano con i tantissimi fedeli convenuti in piazza San Pietro nell'ultima domenica di Avvento, il Papa ha parlato dei suoi predecessori "cultori di questa scienza" - Silvestro ii, Gregorio xiii e san Pio x - evidenziando che il 2009 sarà l'anno mondiale dell'astronomia, in concomitanza con il iv centenario delle prime osservazioni di Galileo Galilei.

    Cari fratelli e sorelle,
    il Vangelo di questa quarta domenica di Avvento ci ripropone il racconto dell'Annunciazione (Lc 1, 26-38), il mistero a cui ritorniamo ogni giorno recitando l'Angelus. Questa preghiera ci fa rivivere il momento decisivo, in cui Dio bussò al cuore di Maria e, ricevuto il suo "sì", incominciò a prendere carne in lei e da lei. L'orazione "Colletta" della Messa odierna è la stessa che si recita al termine dell'Angelus e, in italiano, dice così:  "Infondi nel nostro spirito la tua grazia, o Padre. Tu, che all'annunzio dell'Angelo ci hai rivelato l'incarnazione del tuo Figlio, per la sua passione e la sua croce guidaci alla gloria della risurrezione". A pochi giorni ormai dalla festa del Natale, siamo invitati a fissare lo sguardo sul mistero ineffabile che Maria ha custodito per nove mesi nel suo grembo verginale:  il mistero di Dio che si fa uomo. È questo il primo cardine della redenzione. Il secondo è la morte e risurrezione di Gesù, e questi due cardini inseparabili manifestano un unico disegno divino:  salvare l'umanità e la sua storia assumendole fino in fondo col farsi carico interamente di tutto il male che le opprime. 
    Questo mistero di salvezza, oltre a quella storica, ha una dimensione cosmica:  Cristo è il sole di grazia che, con la sua luce, "trasfigura ed accende l'universo in attesa" (Liturgia). La stessa collocazione della festa del Natale è legata al solstizio d'inverno, quando le giornate, nell'emisfero boreale, ricominciano ad allungarsi. A questo proposito, forse non tutti sanno che Piazza San Pietro è anche una meridiana:  il grande obelisco, infatti, getta la sua ombra lungo una linea che corre sul selciato verso la fontana sotto questa finestra, ed in questi giorni l'ombra è la più lunga dell'anno. Questo ci ricorda la funzione dell'astronomia nello scandire i tempi della preghiera. L'Angelus, ad esempio, si recita al mattino, a mezzogiorno e alla sera, e con la meridiana, che anticamente serviva proprio per conoscere il "mezzogiorno vero", si regolavano gli orologi.
    Il fatto che proprio oggi, 21 dicembre, in questa stessa ora, cade il solstizio d'inverno, mi offre l'opportunità di salutare tutti coloro che parteciperanno a vario titolo alle iniziative per l'anno mondiale dell'astronomia, il 2009, indetto nel 4° centenario delle prime osservazioni al telescopio di Galileo Galilei. Tra i miei Predecessori di venerata memoria vi sono stati cultori di questa scienza, come Silvestro ii, che la insegnò, Gregorio xiii, a cui dobbiamo il nostro calendario, e san Pio x, che sapeva costruire orologi solari. Se i cieli, secondo le belle parole del salmista, "narrano la gloria di Dio" (Sal 19[18], 2), anche le leggi della natura, che nel corso dei secoli tanti uomini e donne di scienza ci hanno fatto capire sempre meglio, sono un grande stimolo a contemplare con gratitudine le opere del Signore.
    Torniamo ora con lo sguardo verso Maria e Giuseppe, che attendono la nascita di Gesù, ed impariamo da loro il segreto del raccoglimento per gustare la gioia del Natale. Prepariamoci ad accogliere con fede il Redentore che viene a stare con noi, Parola d'amore di Dio per l'umanità di ogni tempo.

    Al termine della preghiera mariana il Pontefice ha salutato nelle varie lingue i gruppi di fedeli presenti. Tra questi, cinquanta sacerdoti dei Legionari di Cristo, che il giorno precedente avevano ricevuto l'ordinazione nella Basilica di San Paolo fuori le Mura.

    Chers frères et soeurs francophones, aujourd'hui nous sommes invités à contempler Marie, modèle du coeur qui écoute. Elle nous montre la fécondité de la Parole de Dieu vécue dans l'obéissance de la Foi. A son exemple, en ce temps ultime de préparation à la fête de Noël, par l'écoute et la méditation de la Parole, recherchons la volonté de Dieu, afin de vivre intensément, dans la confiance, les merveilles du Seigneur à l'oeuvre dans nos vies. Avec ma Bénédiction apostolique.

    I am pleased to greet all the English-speaking pilgrims gathered for this Angelus. In today's liturgy, we recall how the Virgin Mary was invited by the Angel to conceive the one in whom the fullness of divinity would dwell:  Jesus, the "Son of the Most High". As we prepare to celebrate his birth, let us not be afraid to say "Yes" to the Lord, so that we may join Our Lady in singing his goodness for ever. May God bless all of you!

    Einen frohen Gruß richte ich an die deutschsprachigen Pilger und Besucher. Gott will uns in unserem persönlichen Leben nahe sein. Er ist der "Gott mit uns", und er wartet als der, der uns wirklich liebt, auf unsere Antwort. Maria hat sie ihm gegeben, und wir wollen versuchen, mit ihr zu sprechen:  "Mir geschehe, wie du es gesagt hast". Dann erfahren auch wir, daß Gott uns teilhaben läßt an seiner heilbringenden Gegenwart. - Der Herr schenke euch ein gnadenreiches Weihnachtsfest!

    Saludo con afecto a los peregrinos de lengua española. El Evangelio que se ha proclamado en este cuarto domingo de Adviento nos presenta la escena de la Anunciación del Arcángel Gabriel, en la que mediante el fiat de María, el Verbo eterno se hizo carne en su seno virginal. Pongamos a la Santísima Virgen como intercesora en estos últimos días de preparación para la Navidad. Que ella nos alcance la gracia de estar bien dispuestos para recibir al Niño-Dios en nuestras vidas. Muchas gracias y feliz domingo.
    Serdecznie pozdrawiam Polaków obecnych tu w Rzymie, w Polsce i w swiecie. Ostatnia Niedziela Adwentu wprowadza nas w nastrój Bozego Narodzenia. Za kilka dni:  Wigilia, lamanie sie oplatkiem, Pasterka, spotkanie z Jezusem Narodzonym. Niech te chwile przyniosa kazdemu z was, waszym rodzinom i bliskim milosc, pojednanie, pokój i dobro. Niech Chrystus narodzi sie w waszych sercach. Zycze wszystkim blogoslawionych swiat!
    [Saluto cordialmente i Polacchi presenti qui a Roma, in Polonia e nel mondo. L'ultima Domenica d'Avvento ci introduce nell'atmosfera del Natale. Tra pochi giorni vi aspetta la "Vigilia", durante la quale spezzerete il pane bianco di Natale, la Santa Messa della notte, l'incontro con Gesù nato. Questi momenti portino a ciascuno di voi, alle vostre famiglie e ai vostri cari l'amore, la riconciliazione, la pace e il bene. Nei vostri cuori nasca Gesù. A voi tutti auguro felici feste di Natale.]

    Sono lieto di salutare i 50 sacerdoti novelli dei Legionari di Cristo, che ieri hanno ricevuto l'Ordinazione per le mani del Cardinale Angelo Sodano nella Basilica di San Paolo fuori le Mura. Carissimi, l'amore di Cristo, che spinse san Paolo nella sua missione, animi sempre il vostro ministero. Vi benedico di cuore insieme con i vostri cari!
    Saluto infine con affetto i pellegrini di lingua italiana, in particolare i fedeli provenienti da Gorla Minore e l'associazione "Quelli della Rosa Gialla", di Palermo, che ha realizzato un'opera teatrale ispirata alla testimonianza del compianto Don Pino Puglisi. A tutti auguro una buona domenica e un Natale di gioia e di pace.



    (©L'Osservatore Romano - 22-23 dicembre 2008)



    Il contributo complementare e reciproco della scienza e della fede

    I Papi amici dell'astronomia


    di Guy J. Consolmagno
    Gesuita, Specola Vaticana

    Chi erano i Papi ricordati nell'ultimo Angelus prima di Natale - nel giorno del solstizio d'inverno - da Benedetto XVI? E come si inseriscono nella storia della Chiesa e nella storia dell'astronomia?
    L'erudizione di Papa Silvestro ii era molto avanzata rispetto al suo tempo e la gente lo considerava un mago e uno stregone! Nato Gerberto d'Aurillac in Francia, entrò nel monastero di San Geraldo di Aurillac, in Spagna, dove conobbe per la prima volta la cultura araba, in particolare gli studiosi di matematica e di astronomia di Cordoba - allora sotto il dominio arabo. In seguito insegnò presso la scuola della cattedrale di Reims, dove, per breve periodo, fu anche arcivescovo. Poi divenne tutore dell'Imperatore Ottone iii. Fu quindi arcivescovo di Ravenna prima di essere eletto Papa nel 999. Morì nel 1003.
    Influenzò lo sviluppo dei programmi universitari medievali, ma probabilmente è più noto per aver introdotto in Europa l'uso dei numeri arabi e dell'abaco. Nel campo dell'astronomia, introdusse la sfera armillaria, uno dei primi congegni utilizzati per determinare la posizione del sole e dei pianeti durante l'anno. Importante per la storia dell'astronomia e per questo quattrocentesimo anniversario del telescopio di Galileo, è che Gerberto utilizzò cannocchiali - ma senza lenti - attaccati a un astrolabio per meglio allineare lo strumento alle stelle giuste.
    Papa Gregorio xiii è, certo, più famoso per la sua riforma del calendario. L'astronomia, che implica lo studio del sole, della luna e di tutti gli altri corpi celesti, era legata in origine all'esigenza di stilare calendari. Conoscere i giorni durante i quali le stagioni mutano è importante per qualsiasi cultura basata sull'agricoltura. Tuttavia per la Chiesa primitiva, il primo giorno di primavera aveva un'altra valenza:  era utilizzato per calcolare la data della Pasqua.
    Il primo concilio di Nicea, nel 325, stabilì che la Pasqua seguisse il modello della prima Pasqua, che cadeva la prima domenica dopo Pesach. La festa ebraica di Pesach fu stabilita nella legge mosaica come prima luna piena di primavera. Quindi, per stabilire il giorno della Pasqua, bisognava sapere esattamente quando sarebbe iniziata la primavera. Il concilio di Nicea elaborò una formula matematica per calcolare la Pasqua, ma nel medioevo divenne chiaro che in quella formula avevano cominciato a sommarsi piccoli errori. Le linee meridiane dimostravano che la primavera era cominciata molti giorni addietro rispetto a quanto previsto dal calendario. 
    Il concilio aveva basato i suoi calcoli sul calendario civile o romano. Quando Giulio Cesare introdusse l'anno di 365,25 giorni, con un giorno intercalare ogni quattro anni, si sapeva già che quell'arco di tempo era un po' troppo lungo perché, paragonato al reale succedersi delle stagioni, causava un errore di un giorno ogni 133 anni. Questa piccola differenza sarebbe però cresciuta con il passare del tempo e nel medioevo divenne evidente che l'equinozio di primavera non coincideva con quello ufficiale del 21 marzo. Inoltre, il calcolo della data di Pasqua si allontanava dai tempi reali intesi dal concilio di Nicea.
    I concilii, in particolare quelli tenutisi a Costanza (1414-1418) e a Trento (1545-1563), chiesero ai Papi di apportare una correzione al calendario. Tuttavia, nessuno aveva ancora presentato una riforma che fosse valida e semplice, priva di ambiguità e in piena sintonia con il concilio di Nicea fino a quando Pietro Pitati, con un trattato pubblicato a Verona nel 1560, e Luigi Lilio (1510-1552), un professore di medicina presso l'Università di Perugia, non trovarono una soluzione relativamente facile da calcolare. Fu creata una Commissione per il Calendario per redigere una descrizione della proposta, chiamata Compendio, che, nel 1577, fu inviata a tutte le autorità civili europee, incluse le università e le accademie. Dopo aver ricevute tutte le risposte, la commissione preparò la bolla papale Inter gravissimas (1582), in cui Papa Gregorio xiii decretò l'adozione del nuovo calendario.
    La regola giuliana degli anni intercalari subì alcune modifiche. Fu introdotta una formula migliorata per il calcolo della Pasqua. E, solo per una volta, dieci giorni furono eliminati per spostare l'equinozio indietro fino al 21 marzo, secondo quanto stabilito dal primo concilio di Nicea. Questo fu il grande merito della riforma gregoriana. Con un aggiustamento di minima entità e con regole chiare, preservò l'intento del concilio. Inoltre, la speranza fu che tale riforma, basandosi su un concilio che si era svolto prima dello scisma fra Oriente e Occidente, potesse evitare ulteriori conflitti con la Chiesa ortodossa.
    Un membro importante della commissione per la riforma del calendario fu il gesuita Christoph Clavius, professore di matematica presso il Collegio Romano, noto per le sue pubblicazioni di geometria, aritmetica e astronomia.
    È difficile stabilire con certezza il suo ruolo nella commissione, basta peraltro osservare che fu scelto dal Papa per descrivere e difendere il nuovo calendario nell'Explanatio Romani Calendarii, pubblicata a Roma nel 1603.
    Alla fine, il calendario era in linea con le stagioni. Tuttavia, come potevano esserne certi? In che modo determinarono veramente l'inizio di ogni stagione?
    Le stagioni dipendono dalla posizione del sole nel cielo. Quando il sole è alto e i suoi raggi colpiscono direttamente il terreno, le giornate sono calde. Quando il sole fa appena capolino all'orizzonte, ad angolo obliquo, le giornate sono più fredde. Il modo più semplice per misurare le stagioni reali dell'anno è quello di osservare la posizione del sole. A questo fine si utilizza la "meridiana".
    L'idea di una linea meridiana è abbastanza semplice:  si può determinare la posizione del sole nel cielo misurando l'ombra proiettata da uno "gnomone", un polo di lunghezza nota, come l'obelisco di piazza San Pietro, esattamente a mezzogiorno, il momento della giornata in cui il sole è alla sua massima altezza nel cielo. Quindi sono sufficienti uno gnomone dalla misura certa e una linea orientata esattamente da nord a sud contro la quale misurare l'ombra. Più alto è l'obelisco, più precisamente è possibile misurare l'ombra. Quando il sole si trova nella sua posizione più bassa nel cielo, i nostri calendari indicano il primo giorno dell'inverno, e, parimenti, l'ombra più corta a mezzogiorno si misura il primo giorno d'estate, il solstizio d'estate. Le ombre che sono lunghe esattamente la metà di questi estremi si hanno negli equinozi, i primi giorni di primavera e d'autunno.
    Un modo diverso e più elegante per misurare la posizione del sole è quello di trovare una stanza buia e di praticare un'apertura nella parete esposta a sud. Allora si potrà seguire il raggio di sole che, attraverso quell'apertura, passerà sulle pareti e sul pavimento della stanza. Di nuovo, più grande sarà la stanza, più precisamente si potrà misurare la posizione del sole.
    Nel suo libro The Sun in the Church (Harvard, University Press, 1999) lo storico della scienza John L. Heilbron (università di Oxford e Berkeley) osserva che "gli edifici più adatti - con interni bui - erano le cattedrali. Erano grandi e buie e avevano bisogno solo di un'apertura sul tetto e di una linea sul pavimento per essere degli osservatori solari". Nel XVIi secolo, queste linee meridiane furono collocate nelle cattedrali a Bologna, a Firenze, a Parigi e a Roma, ma non solo per determinare i giorni delle stagioni. Per prima cosa, l'altezza del sole si poteva collegare direttamente alla latitudine della chiesa. Questi congegni permisero agli studiosi di tracciare mappe accurate dell'Europa. Inoltre, come osserva Heilbron, le piccole aperture praticate in grandi ambienti fungevano in realtà da lenti stenopeiche che creavano immagini del sole da studiare per capire le mutazioni della sua dimensione durante l'anno, a conferma indiretta del sistema di Keplero delle orbite ellittiche.
    La linea meridiana a piazza San Pietro fu collocata nel 1817 da monsignor Filippo Luigi Gilii. Egli fu fra quanti, nel 1797, ristabilirono la specula vaticana nella Torre dei Venti. Questa linea sulla piazza fu ispirata senza dubbio da quella sul pavimento della Torre dei Venti disegnata da Ignacio Danti nel 1582. Purtroppo, l'opera di Gilii non proseguì dopo la sua morte e la Specola rimase inattiva fino a quando Papa Leone xiii non la riaprì nel 1891.
    Infine, giungiamo a Papa Pio x, menzionato con grande approvazione da Papa Benedetto. Sebbene sia stato Papa Leone xiii a riaprire l'Osservatorio Vaticano, è stato con Papa Pio x che è divenuto operativo.
    Nel novembre 1904, Papa Pio x affidò all'arcivescovo di Pisa, Pietro Maffi, il compito di riorganizzare la Specola e di cercare un nuovo direttore. Dopo oltre un anno di complicati negoziati, nel febbraio 1906 finalmente si prese una decisione. Il nuovo direttore sarebbe stato il sacerdote gesuita Johan Hagen - nato in Austria, ma divenuto poi cittadino americano e direttore dell'Osservatorio Georgetown, a Washington.
    Nel 1906, su suggerimento di monsignor Maffi, Pio x mise a disposizione degli astronomi la sede della sua Villa - oggi sede della sezione tecnica della Radio Vaticana. Nella stanza della meridiana, all'ultimo piano della piccola villa, fu collocato il telescopio vaticano o lo strumento transitorio per misurare il tempo siderale. In seguito, quello strumento fu sostituito da un ricevitore radio di segnali per controllare gli orologi.
    L'eliografo, un telescopio moderno discendente delle linee meridiane del passato, fu collocato sulla terrazza dell'edificio oggi convento delle suore di clausura Mater Ecclesiae.
    Il 17 novembre 1910, Pio x concesse un'udienza speciale al personale della Specola per celebrare ufficialmente le nuove sedi. L'anno seguente, a commemorare l'ottavo anno di pontificato di Papa Sarto, la moneta storica coniata annualmente in oro, argento e bronzo e distribuita ai membri della corte pontificia e ai dignitari ecclesiastici nel giorno della solennità dei santi Pietro e Paolo, recava su una faccia la figura allegorica dell'astronomia che pronunciava le seguenti parole:  Ampliorem. in. Hortis. Vat. Mihi. Sedem. Adornavit - "Ha preparato per me uno spazio più ampio nei giardini vaticani". Oggi, accanto all'entrata della cappella della Radio Vaticana, nella piccola villa di Leone xiii, si può ancora vedere una targa che ricorda la nuova dimora della Specola.
    L'astronomia è stata molto importante nella teologia cristiana.
    Infatti, l'astronomia è stata una delle sette materie dell'università medievale, che tutti gli studiosi dovevano conoscere prima di poter cominciare a studiare la filosofia e la teologia.
    Dall'istituzione dell'Osservatorio Vaticano, molti pontefici hanno detto cose importanti sull'amore della Chiesa per lo studio dei cieli. Molto dell'interesse della Chiesa ha avuto una aperta rimonta apologetica quando ha utilizzato la scienza per sostenere le sue idee filosofiche o ha utilizzato il suo sostegno alla scienza per contrastare quanti accusano la Chiesa di opporsi al progresso e di temere verità nuove.
    Tuttavia, attraverso gli scritti dei pontefici più recenti, cominciamo a osservare lo sviluppo di una seconda idea, ovvero che, come sapeva il salmista, i cieli stessi proclamano la grandezza del Creatore. Il semplice atto di ricercare la verità nelle scienze naturali è in se stesso un atto religioso, indipendente da qualsiasi fine apologetico.
    Nel fondare di nuovo la Specola Vaticana, Papa Leone xiii, nel 1891, scrisse che era spinto "dal fatto che tutti avrebbero potuto vedere chiaramente che la Chiesa e i suoi Pastori non si oppongono alla scienza vera e solida (...) ma l'accolgono, la incoraggiano e la promuovono".
    Durante l'inaugurazione della nuova sede della Specola a Castel Gandolfo, nel 1935, Papa Pio xi osservò a proposito dello studio del cielo:  "Da nessun altro luogo del creato giunge un invito più forte ed eloquente alla preghiera e all'adorazione".
    Nel suo primo discorso come Papa all'Accademia delle Scienze, nel 1939, Papa Pio xii affermò eloquentemente:  "L'uomo ascende a Dio salendo la scala dell'universo". Parlando alla stessa assemblea, nel 1951, osservò che "più la vera scienza progredisce, più scopre Dio, quasi come se Egli stesse, vigile e in attesa, dietro la porta che la scienza schiude".
    L'inno più bello di Papa Pio xii alla gloria di Dio, visibile grazie all'astronomia, fu il suo discorso all'assemblea generale della Unione Astronomica Internazionale, svoltasi a Roma nel 1952:  "Studiando l'astronomia lo spirito umano ha superato tutti i limiti dei sensi fisici (...) ed è riuscito a misurare l'immenso universo (...) Quale incontro lieto e sublime nella contemplazione del cosmo è quello fra lo spirito umano e lo spirito del Creatore!".
    Papa Giovanni Paolo ii sottolineò le sue speranze per il rapporto fra scienza e religione in una lettera al direttore dell'Osservatorio Vaticano, George Coyne, nel 1987, affinché venisse pubblicata insieme agli atti di una conferenza organizzata dalla Pontificia Accademia delle Scienze, in occasione del trecentesimo anniversario della pubblicazione dei Principia di Newton. Scrisse:  "Sia la religione sia la scienza devono tutelare la propria autonomia e la propria peculiarità. La religione non si basa sulla scienza né la scienza è una estensione della religione. Ciascuna di esse dovrebbe possedere i propri principi, le proprie procedure, la propria diversità di interpretazione e le proprie conclusioni (...) la scienza può purificare la religione dall'errore e dalla superstizione; la religione può purificare la scienza dall'idolatria e dai falsi assoluti".
    È interessante osservare come l'astronomia sia stata legata storicamente a culture differenti, incluse quelle che per altri versi erano in conflitto. Vediamo come Papa Silvestro ii guardò con favore agli studi degli arabi, anche se questi ultimi e i cristiani erano in guerra fra loro per il controllo della Spagna, e come l'adozione della riforma gregoriana del calendario fu motivata in gran parte dalla necessità di trovare una soluzione accettabile anche per le Chiese orientali.




    (©L'Osservatore Romano - 22-23 dicembre 2008)



     Metodi indiretti per la scoperta di pianeti simili alla Terra

    Il colore delle piante aliene


    di Maria Maggi

    Il primo pianeta extrasolare fu scoperto tredici anni fa dagli astronomi svizzeri dell'osservatorio di Ginevra Michel Mayor e Didier Queloz. Si trattava di un corpo celeste orbitante attorno alla stella 51 Pegasi b. Usarono un metodo di rilevazione indiretto, basato sulle perturbazioni gravitazionali impresse dal pianeta al moto della stella attorno a cui ruota. Da allora le scoperte si sono susseguite. Ora sono circa duecentocinquanta i pianeti extrasolari trovati.
    Nessuno assomiglia alla Terra. In genere si tratta di pianeti giganti gassosi, di massa simile o maggiore a quella di Giove, ma su orbite estremamente più vicine alle loro stelle di quanto sia l'orbita di Giove attorno al Sole.
    Come si può fare per individuare un pianeta simile alla Terra? L'idea più semplice è prendere un'immagine del suo sistema planetario dove il pianeta apparirà come un punto debolmente luminoso vicino alla sua stella. Purtroppo, il pianeta è così poco luminoso rispetto alla stella e angolarmente così vicino a essa che rimane "annegato" nel bagliore della stella. Osservare pianeti di tipo terrestre attorno ad altre stelle è un'impresa di difficoltà eccezionale. Un pianeta come la Terra, infatti, non emette luce, ma riflette quella della stella attorno a cui orbita. Inoltre, alla distanza tipica a cui si trovano le stelle più vicine a noi, qualche decina di anni-luce, la separazione Terra-Sole corrisponderebbe a circa 0,1 secondi d'arco (la dimensione di un'arancia vista da duecento chilometri di distanza), al limite delle capacità dello strumento che produce le immagini più precise di cui disponiamo:  il telescopio spaziale Hubble. Nell'attesa di essere in grado di rilevare un pianeta di tipo terrestre direttamente, la ricerca è iniziata con metodi indiretti. 
    Ci sono vari metodi dinamici, che consistono nell'individuare la perturbazione indotta dalla rivoluzione orbitale del pianeta sul moto della stella. In questo modo si sono scoperti finora la maggior parte dei pianeti extrasolari. Un altro metodo consiste nell'osservazione di una piccolissima diminuzione della luminosità di una stella quando un pianeta le passa davanti occultando una parte della sua superficie. Un altro ancora si basa sull'effetto della lente gravitazionale, previsto nella teoria della gravitazione di Einstein, che avviene quando un corpo celeste, nel suo moto, viene a trovarsi circa sulla linea visuale di una stella lontana e così ne amplifica la luminosità apparente. Infine si possono scoprire i dischi circumstellari, ossia le nubi di polveri che circondano molte stelle e che sono in grado di assorbire la luce stellare riemettendola come radiazione infrarossa.
    L'ideale, comunque, sarebbe ottenere immagini dirette di pianeti attorno ad altre stelle, per poterne esaminare nel dettaglio la composizione chimica e lo stato fisico.
    Per il futuro, sono in programma numerose missioni spaziali che miglioreranno le tecniche di individuazione dei pianeti extrasolari. Le misurazioni astronomiche fatte dallo spazio permettono una maggiore sensibilità rispetto a quelle dalla superficie della Terra:  viene infatti annullato l'effetto distorcente dell'atmosfera terrestre, e gli strumenti agli infrarossi possono rilevare anche le radiazioni che vengono bloccate  dall'atmosfera.
    Ma allorché fossero individuati pianeti di tipo terrestre, dalle immagini si potrebbe sapere se su di essi si è sviluppata una vegetazione, come è successo sulla Terra? E poi di quale colore apparirebbero le piante? Per rispondere a questa domanda sono in corso studi al Virtual planetary laboratory, un centro di ricerca del California institute of technology. Questo lavoro aiuterà a progettare i futuri telescopi spaziali che dovranno studiare i pianeti extrasolari per vedere se sono abitabili o se ospitano piante aliene. Infatti, il colore della superficie di un pianeta può rivelare se ci sono organismi che raccolgono la luce proveniente dalla stella attorno a cui orbita attuando la fotosintesi.
    Questa idea non è recente, perché circa un secolo fa gli astronomi cercarono di spiegare i cambiamenti stagionali di colore della superficie di Marte attribuendoli alla crescita di vegetazione. Già lo scrittore di fantascienza Herbert George Wells ne La guerra dei mondi aveva immaginato che la vegetazione su Marte fosse rossa. Ora si sa che il suolo di Marte ospita solo pietre, ma su altri pianeti le piante potrebbero esistere e apparire purpuree, o gialle, o addirittura nere.
    Per prospettare il colore della vegetazione aliena, bisogna prima capire perché quella terrestre è verde. Le piante, infatti, devono sfruttare la radiazione solare per la produzione di zuccheri, un processo della fotosintesi clorofilliana. La parte della radiazione elettromagnetica che non è assorbita, ma solo riflessa, fornisce il colore delle foglie osservato.
    Tutto dipende dal tipo di luce, che arriva sul pianeta, che a sua volta dipende dalla temperatura della stella attorno a cui orbita e dalla sua distanza, dalla composizione chimica dell'atmosfera, dalla quantità d'acqua presente sulla superficie e da parecchi altri parametri.
    Per esempio, il nostro Sole irraggia molta della sua energia nel verde:  gli scienziati si sono chiesti a lungo perché le piante sprecassero questa parte dello spettro solare. La risposta sta nel fatto che le piante si sono adattate alla fotosintesi sfruttando i fotoni blu perché molto energetici e quelli rossi perché molto numerosi, riflettendo  i fotoni verdi che non arrivano in quantità sufficiente, anche perché assorbiti in gran parte dall'atmosfera.
    Se però un pianeta ruotasse attorno a una stella più brillante e calda del Sole, e se l'ossigeno presente nell'atmosfera bloccasse la radiazione ultravioletta, per la fotosintesi sarebbe utilizzata la luce verde e blu e allora la vegetazione apparirebbe gialla, arancione o rossa, o addirittura bianca, per evitare un eccessivo assorbimento di luce. Mentre su un pianeta  orbitante  attorno a una stella  nana  rossa,  più  fredda del Sole,  le  piante  utilizzerebbero la poca  luce  dello spettro visibile che vi arriva, non escludendo che qualche forma vegetale possa riuscire a sfruttare  una parte dello spettro oltre il visibile e in particolare l'infrarosso, e si presenterebbero di colore nero.
    Per tutti i tipi di stella è in ogni caso importante che l'area delle terre emerse di un pianeta sia abbastanza ampia da risultare visibile ai prossimi telescopi spaziali. Se in futuro questi strumenti vedranno una banda scura nello spettro della luce riflessa di un pianeta e in uno dei colori previsti, forse per la prima volta osserveranno i segni di vita su un altro mondo.



    (©L'Osservatore Romano - 22-23 dicembre 2008)

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    zsbc08
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    00 24/12/2008 18:32
    La notte del 24 dicembre 1968 il Pontefice celebrò messa all'Italsider di Taranto

    Quando a Natale Paolo VI
    citò Herbert Marcuse


    di Giselda Adornato

    Il 1° dicembre 1968, concludendo la consueta preghiera mariana dell'Angelus, Paolo VI annuncia che celebrerà la messa della notte di Natale nel grandioso centro siderurgico Italsider di Taranto:  "Sarà fra gli altiforni - a Dio piacendo - quest'anno il nostro presepio".
    Il quarto Centro siderurgico di Taranto, inaugurato nel 1965 dal presidente della Repubblica Giuseppe Saragat, costituisce all'epoca uno dei maggiori complessi industriali per la lavorazione dell'acciaio in Europa; gli operai sono 5.600, altri 2.300 trovano lavoro nelle opere di ampliamento. Solo nel turno di notte, nel corso del quale si inserisce la messa di Paolo VI, 2.200 tonnellate di ghisa e 2.500 tonnellate di acciaio escono dallo stabilimento. Grazie al grandioso investimento, il reddito medio per abitante in questo periodo sale da 175.000 a 604.000 lire, quasi cioè a livello di quello nazionale (632.000). La diocesi non è stata a guardare questo grande rivolgimento strutturale e sociale:  è guidata da monsignor Guglielmo Motolese (1910-2005), dal 1957 amministratore apostolico e dal 16 gennaio 1962 arcivescovo di Taranto, dove rimane per ben ventiquattro anni, attuando una vasta pastorale sociale. Sorgono ben quattordici nuove chiese, un grande seminario, vengono nominati i cappellani del lavoro, si eleva la concattedrale della Gran Madre di Dio (di Giò Ponti) nella parte nuova di Taranto. Conclusa la visita di Paolo VI, al Pontefice sarà dedicato un nuovo quartiere per lavoratori e un monastero di carmelitane scalze, che avrà il particolare impegno di preghiera per il mondo del lavoro. 
    Purtroppo però è anche vero che il lavoro dei seimila operai dell'Italsider non ha prodotto gli importanti fenomeni di "induzione" industriale che si speravano, per cui la disoccupazione e l'emigrazione vanno aumentando; "L'Osservatore Romano" parla di "catapultamento", uno strappo sociale da una vita esclusivamente basata sull'agricoltura a un'altra, nella massima parte poggiata sull'industria. In occasione della visita del Papa, "l'Unità" scrive:  "Per una notte la più alta cattedra di San Pietro si sposta tra gli operai al centro siderurgico di Taranto e lì incontra lo sfruttamento e l'arretratezza del Sud".
    La preparazione dell'avvenimento è imponente e meticolosa e le immagini della messa saranno trasmesse dalla televisione italiana e, per 15 minuti, anche negli Stati Uniti, a colori, con un collegamento via satellite. Considerata - come dice ancora "L'Osservatore Romano" - "la tirannia di una produzione che non può essere mai interrotta", è proprio all'interno del Centro siderurgico che viene allestito l'altare per la celebrazione, la "grotta tra gli altiforni", la "capanna" o la "cattedrale di acciaio", come si sbizzarriscono a definirla le voci della stampa. Oltre agli operai dell'Italsider, assistono alla messa altri settemila occupati nell'arsenale militare e un migliaio dei cantieri navali; presenti anche le 65 parrocchie diocesane, che offrono simbolicamente una pisside, poi destinata a opere povere secondo i desideri del Papa.
    Lungo il percorso di Paolo VI fino alla cattedrale, nella tarda serata del 24 dicembre 1968, piccoli gruppi di manifestanti espongono cartelli con le scritte "Puglia patria della disoccupazione e dell'emigrazione", "Salari umani per il Sud", "9200 feriti sul lavoro in un anno":  un episodio sul quale il Papa si sofferma, una volta giunto nella basilica di San Cataldo, parlando a braccio e replicando con comprensione e affetto ai cartelli:  "Abbiamo visto anche cartelli che esprimono un gemito:  siamo sofferenti, siamo disoccupati. La Chiesa capisce e soffre e dice una parola di speranza". Esorta tutti a impegnarsi per creare, qui come altrove, un futuro più umano, più cristiano:  "Molti fratelli sono nel bisogno e l'aiuto al fratello è tributo a Cristo. Il premio più rimunerativo sarà quello della buona coscienza e quello che Dio riserva a chi lo ha servito".
    Nello stabilimento, il Papa, prima della messa, raggiunge i convertitori per la trasformazione della ghisa in acciaio:  qui Montini osserva con una maschera protettiva il metallo che passa dal rosso all'incandescente, saluta affabilmente altri operai, infine sosta davanti a un presepe di compensato, intagliato dal reparto manutenzione. Sale poi su un hydrocar, il carrello elettrico utilizzato per trasportare materiali all'interno dell'officina, ed entra nel grande capannone, dove è stato allestito l'altare, consistente in una "bramma", una spessa lamiera di acciaio poggiata su due tronchi di tubi, che sullo sfondo accoglie un altro originale presepe, realizzato con figure intagliate nella lamiera. Ora la messa può incominciare. Dal marzo 1965 è entrato in vigore il nuovo rito, ma il Messale romano sarà pronto solo nel 1970:  questa liturgia natalizia alterna dunque preghiere antiche e moderne, cercando un coinvolgimento dell'assemblea:  la preghiera dei fedeli viene recitata da un dirigente, due impiegati e tre operai; i doni dell'offertorio sono presentati da un pescatore, un contadino, un operaio dell'arsenale e uno dell'Italsider.
    L'omelia del papa è il clou di tutto l'evento. Incomincia con un richiamo agli interlocutori che ricorda i "tre cerchi" dell'Ecclesiam suam:  "Figli! Fratelli! Amici! Uomini sconosciuti e già da noi amati come reciprocamente legati - voi a noi, noi a voi - da una parentela superiore (...) quella che ci fa cristiani, una sola cosa in Cristo! (...) e questo specialmente con noi, proprio perché siamo vostri, come lo è il Papa per tutti, per i cattolici, quali voi siete, specialmente:  Padre, Pastore, Maestro, Fratello, Amico! Per ciascuno, per tutti. Così adesso pensateci! Così ascoltateci!". Ritroviamo la concezione montiniana dell'autorità:  paterna, pastorale, di magistero, di espressione della cattolicità. Poi, il discorso cambia registro:  "Noi facciamo fatica a parlarvi. Noi avvertiamo la difficoltà a farci capire da voi. O noi forse non vi comprendiamo abbastanza? Sta il fatto che il discorso è per noi abbastanza difficile. Ci sembra che tra voi e noi non ci sia un linguaggio comune. (...) Vi dicevamo, salutandovi, che siamo fratelli ed amici:  ma è poi vero in realtà? Perché noi tutti avvertiamo questo fatto evidente:  il lavoro e la religione, nel nostro mondo moderno, sono due cose separate, staccate, tante volte anche opposte". Un'osservazione amara, sulla quale Montini ha più volte ampiamente riflettuto anche durante l'episcopato milanese, quando diceva:  "San Carlo ha dovuto lottare con la peste, noi, la nostra peste, la troviamo in questa distruzione delle anime nel mondo del lavoro. È il mistero doloroso del nostro tempo".
    A Taranto, il Pontefice non dà spiegazioni teoriche complesse, ma esprime affermazioni:  "Ma questa separazione, questa reciproca incomprensione non ha ragione di essere. Non è questo il momento di spiegarvi perché. (...) Non esiste, o meglio non deve esistere. Ripeteremo ancora una volta da questo centro siderurgico, che (...) quanto più l'opera umana qui si afferma nelle sue dimensioni di (...) modernità tanto più merita e reclama che Gesù, l'operaio profeta, (...) annunci qui, e di qui al mondo, il suo messaggio di rinnovazione e di speranza". Gli operai non devono aver paura che questo significhi clericalizzare il lavoro, spiega il Papa poche righe dopo, citando il paragrafo 34 della Gaudium et spes e dunque il concetto delle conquiste umane come segni della grandezza e del disegno di Dio per l'uomo.
    L'omelia continua affrontando un tema tipicamente montiniano:  l'intelligenza della scelta di fede, nella quale sono coinvolti gli operai, ma soprattutto coloro che usano la mente nel loro lavoro, tecnici e imprenditori. Il Papa definisce "opere ciclopiche e perfette" quelle come il centro siderurgico tarantino, che paragona addirittura all'impresa spaziale di quei giorni, perché entrambe queste manifestazioni umane sono esempio del dominio dell'uomo sulle forze della natura; ma l'intelligenza deve portare a chiedersi quali siano "le leggi nascoste delle cose"; il lavoro così "diventa scoperta del mistero, diventa adorazione, diventa preghiera. Cioè, cioè, cari lavoratori! Voi vedete come quando lavorate in questa officina è, in certo senso, come se foste in Chiesa (...). Voi vedete come lavoro e preghiera hanno una radice comune, anche se espressione diversa. Voi, se siete intelligenti, se siete veri uomini, potete e dovete essere religiosi, qui, nei vostri immensi padiglioni del lavoro terrestre".
    Questo accostamento stretto tra lavoro e preghiera, riproposto anche in altre occasioni, non è visto solo in senso individuale ma come stimolo a una trasformazione interiore del corpo ecclesiale e del mondo intero, destinata a dare frutti di giustizia, fraternità, libertà, pace.
    A questo punto, il discorso tarantino acquista una dimensione sociale significativa, che prende avvio dalla constatazione delle condizioni concrete in cui si svolge il lavoro operaio all'Italsider, definito più volte come "faticoso". Il Papa si chiede:  "L'uomo, impegnato nel lavoro, carico di fatica, e pieno lui stesso di sentimenti, di pensieri, di bisogni, di stanchezza, di dolore, quale sorte trova qui dentro? (...) Sarà macchina anche lui? Puro strumento che vende la propria fatica per avere un pane, un pane da vivere". In ogni incontro con le diverse fasce di fedeli interessate ai temi sociali e del lavoro il Papa parla della giustizia sociale, secondo un suo schema spirituale - e anche filosofico, con qualche profilo psicologico - che prevede dei passaggi precisi:  dapprima il riconoscimento e l'inquadratura del problema; quindi la confutazione su un piano razionale delle soluzioni errate che nel tempo e tutt'oggi vengono prospettate, provenienti dalle ideologie del marxismo e del capitalismo; quindi il forte richiamo del compimento trascendente, al quale è possibile pervenire (e, il Papa spera, esserne conquistati) grazie alla mediazione di un importante canone interpretativo della realtà, l'umanesimo cristiano. Il metodo montiniano è sempre interiore e spirituale e gli scopi del Papa non possono che essere quelli della diffusione della Buona Novella e del Regno di Cristo; inoltre, i valori morali sono da lui vissuti essenzialmente come virtù:  "Le virtù che la dottrina cristiana insegna e inculca sono in effetti il fondamento più sicuro di tutta una vita sociale ben ordinata".
    Conseguentemente, la giustizia sociale è quella di Cristo, è la virtù della giustizia verso gli uomini, una commistione di valori spirituali e sociali; tant'è che il fondamento della convivenza sociale, per la Chiesa - ripete in più occasioni Paolo VI - non è un qualsiasi principio umano ma la verità, la giustizia e l'amore in quanto postulati religiosi ed etici. A Milano, inaugurando la sede dell'Unione sindacale provinciale, aveva detto:  "Io non esito a dire che il cristianesimo (...) è il principio più esigente, a titolo proprio ed inalienabile, d'una sempre migliore giustizia sociale".
    All'Italsider afferma:  "La Chiesa riconosce, sì, il bisogno di giustizia del popolo onesto, e lo difende, come può, e lo promuove. E badate bene:  non di solo pane vive l'uomo, dice la Chiesa ripetendo le parole di Cristo; non di sola giustizia economica, di salario, di qualche benessere materiale, ha bisogno il lavoratore, ma di giustizia civile e sociale. Ancora per questa rivendicazione la Chiesa vi comprende e vi aiuta". Il 14 maggio 1971, la lettera apostolica Octogesima adveniens dirà che i nuovi problemi sociali - urbanesimo, ruolo della donna e dei giovani, mondo del lavoro - devono essere affrontati cercando di "instaurare progressivamente una giustizia sempre meno imperfetta". Il secondo Sinodo dei vescovi, che ha luogo dal 30 settembre al 6 novembre 1971, tratterà anche il tema della giustizia e la Giornata della pace del 1972 avrà il seguente messaggio:  "Se vuoi la pace lavora per la giustizia". Anche a Taranto il "bisogno di giustizia", cui si riferisce tutta l'ultima parte del discorso, è orientato secondo queste motivazioni, né poteva essere diversamente. La valorizzazione, da parte della Chiesa, del mondo del lavoro deriva quindi dalla valorizzazione spirituale dell'uomo che lavora e dunque dell'uomo tout court. "Non c'è nessuno - aveva detto ai netturbini Paolo VI - che abbia dell'uomo concetto più grande di quello posseduto e insegnato dalla Chiesa". A Taranto aggiunge:  "Dite una cosa:  (...) non vi sono uomini vivi, uomini sofferenti, uomini bisognosi di dignità, di pace, di amore qui dentro, che non comprendono il pericolo d'essere ridotti ad esseri di una "sola dimensione", quella di strumenti?". Qui vediamo il richiamo montiniano, e non è la prima volta, alla critica di Herbert Marcuse nei confronti dell'uomo alienato dalla società tecnocratica.
    Infine, a chiusura del discorso, la proposta dell'incontro con Cristo, esposta in pochissime righe, perché il messaggio religioso in senso stretto è una proposta essenziale:  "Ecco, figli carissimi, perché qua siamo venuti. (...) Siamo venuti per lanciare di qui, come uno squillo di tromba risonante nel mondo, il beato annunzio del Natale all'umanità che sale, che studia, che lavora, che fatica, che soffre, che piange e che spera; e l'annuncio è quello degli Angeli di Bethleem:  oggi è nato il Salvatore vostro, Cristo Signore".
    Al termine della celebrazione, Paolo VI si ferma a salutare la folla, a stringere le mani; per accogliere il saluto dei più lontani si inginocchia per terra, sorridente. Semplici gesti, che trasmettono il sensus fidei che vi sottende, come aveva detto ai netturbini:  "Io sono obbligato ad inchinarmi dinanzi ad ogni creatura umana che porta impressa sulla fronte l'immagine di Dio".



    (©L'Osservatore Romano - 25 dicembre 2008)
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