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Il Manifesto del NeoMedioevo Simbolistico

Ultimo Aggiornamento: 14/06/2011 21:30
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24/11/2008 11:37

 

Blogger: User Profile: pinello francesco paolo

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Il Manifesto per la verità nel NeoMedioevo Simbolistico:

Penso che stiamo vivendo un nuovo MedioEvo, cioè un'età di mezzo che ha la caratteristica di essere fondata quasi esclusivamente sui simboli, a cominciare dagli strumenti di comunicazione che stiamo utilizzando. 

LaStampa.it

4/4/2010 - Parla il biografo di Giovanni Paolo II

Weigel: "Il Papa e la Chiesa sotto l'assedio di forze potenti"

"[...] l’attuale controversia ha a che vedere con la guerra culturale in Occidente". Così George Weigel, biografo di Giovanni Paolo II e nome di punta del «Centro di Politica e Etica», legge la tempesta di polemiche che dagli Stati Uniti investe la Santa Sede.

Cosa intende per «guerra culturale»?

«La Chiesa cattolica è l’ultimo difensore istituzionale dell’idea che vi sono delle verità morali nel mondo e negli uomini. Vi sono forze potenti in Occidente che ne negano l’esistenza, che ci spingono a credere che l’umanità è plastica e malleabile, che il matrimonio può essere definito dalle leggi, che il sesso è una forma di sport, che gli esseri umani non nati, gravemente malati o handicappati non contano, e che i poteri coercitivi dello Stato possono e devono imporre quello che il cardinale Ratzinger definì la "dittatura del relativismo". Tali forze vedono nelle mancanze di alcuni figli e figlie della Chiesa, e negli errori commessi da alcune autorità, l’opportunità di distruggere gli insegnamenti della Chiesa».


Penso che, come scrive il Direttore di Rainews24, Corradino Mineo, sul blog di Rainews24.it, la strada da percorrere sia quella di ritrovare e di rinnovare lo spirito del Vaticano II. Aprendo porte e finestre per evitare l’isolamento dentro una casa senza porte e senza finestre. Penso, però, al contrario di quanto scrive il Direttore Corradino Mineo, che sia anche utile ritrovare e rinnovare la storia della Chiesa dei primi secoli, che è il prodotto della Tradizione e che, a sua volta, ha poi generato la Tradizione, anche simbolica, medievale, che "Qualcuno" oggi vorrebbe sradicare per impiantare il simbolismo digitale (ad esempio delle emoticons, per banalizzare). E’ evidente ed è innegabile che l’imperatore globale non può non avere interesse a dividere e a “mettere”, o a “spingere” se preferite, le religioni in campo di battaglia l’una contro l’altra, al fine di imperare con maggiore facilità. Mi sembra che la Chiesa Cattolica stia subendo una strategia messa in campo da altri e che, quindi, debba difendersi, prima di tutto, per organizzare in modo efficace, efficiente e vincente le sue strategie e le sue tattiche sul campo. Non pensate che siano proprio l’ecumenismo e il dialogo costruttivo tra le religioni che l’imperatore globale intenda strategicamente e tatticamente contrastare? (francesco paolo pinello)


Il filosofo non è teorico del disimpegno, ma custode della verità. La polemica contro l’ideologia non dev’essere condotta in nome di un angelismo intellettualistico o del mito razionalistico del pensiero puro e impersonale. Ma che significa propriamente cambiare le ideologie, tecniche e strumentali, sul piano filosofico? Ed è possibile che ciò avvenga senza che il filosofo assuma un’esplicita posizione politica, senza, ovviamente, sposare alcuna ideologia, nemmeno il personalismo, e cioè la persona eretta a ideologia? Come si vede è qui in gioco il rapporto di collaborazione tra intellettuale e politico. Non è necessario che il filosofo faccia dell’ideologia, poiché, se egli è veramente tale, la sua posizione politica è già sufficientemente assunta: essa è racchiusa infatti nell’implicita lotta contro le ideologie che egli conduce con il semplice fatto d’essere veramente filosofo. Il suo intervento nel dibattito politico, quindi non può che consistere nell’evitare che la propria filosofia degradi a ideologia. Quello del filosofo è anzitutto un compito civile e morale. Esso è assunto e portato avanti in nome del pensiero rivelativo e ontologico, il quale esige l’impegno più difficile, quello originario con cui si consente all’esssere anzi che rifiutarlo, e si accetta di renderne testimonianza anzi che sacrificarlo alla storia. Da questo impegno originario discende il compito del filosofo che consiste, specificamente, nel ricordare che la realtà storica non si deve assolutizzare sino al punto da perdersi nell’oblio dell’essere e nel tradimento della verità; che tutti gli schemi pratici (inclusi quelli delle scienze) e tutti i progetti d’azione hanno un carattere etico, né è pensabile una qualsiasi azione sottratta alla morale; che le idee sono veramente idee solo se non sono strumentalizzate; che v’è un rapporto con l’essere a cui bisogna rimanere fedeli sia nel pensiero che nell’azione; che la tecnica non può mai essere fine a sé stessa e che la sperimentazione non si regge su di sé; che il dialogo che fonda la convivenza non è possibile se non nella verità. Grazie Luigi Pareyson. Testi tratti da: Luigi Pareyson (francesco paolo pinello)


Cardinale Angelo Bagnasco: CEI, 23-26 marzo 2009: Il secolarismo: è su questo che vorrei dire oggi una parola. Sembra a me infatti che vari segnali ci rendano vieppiù avvertiti che il trapasso culturale dentro al quale ci troviamo vada assumendo il carattere di un vero e proprio spartiacque. Chi, tempo addietro, paventava uno scontro di civiltà, facendolo magari derivare in parte da divaricanti matrici religiose, oggi si trova dinanzi agli occhi una situazione alquanto diversa, e non necessariamente più complessa da descrivere: si fronteggiano sostanzialmente due culture riferibili all’uso della ragione. Al centro di entrambe c’è – come sempre – una specifica risposta alla domanda sull’uomo. Da cui discendono due diverse, per molti aspetti antitetiche, visioni antropologiche. Su un versante c’è la cultura che considera l’uomo come una realtà che si differenzia dal resto della natura in forza di qualcosa di irriducibile rispetto alla materia. Qualcosa che è qualitativamente diverso e che costituisce la radice del suo valore e il fondamento della sua dignità. In altri termini, l’uomo - prima di metter mano a se stesso – si accoglie come dono che ha un’identità e una consistenza iscritte nella struttura del suo essere. Dono che non dipende da lui, che precede ogni sua autodeterminazione, e che ne fa quello che egli è: persona, appunto. È a partire da questo dato ontologico, e tenendolo fermo quale fatto oggettivo, che il soggetto cresce e si compie nello sviluppo della vita. In questa prospettiva, la natura umana, dentro lo scorrere della storia, è un perno fermo e insieme bussola per l’esercizio della libertà personale. Nel gioco stesso dell’uomo, la libertà trova così i riferimenti oggettivi per le scelte e i comportamenti coerenti alla sua autentica umanità. Nell’altro versante, invece, si esplica una cultura per la quale il soggetto umano è un mero prodotto dell’evoluzione del cosmo, ivi inclusa la sua autocoscienza. In quanto risultato di un processo evolutivo mai concluso, l’uomo sarebbe solamente un segmento di storia, sganciato cioè da qualunque fondamento ontologico permanente e comune a tutti gli uomini, privo quindi di riferimenti etici certi e universali. Essendo semplicemente uno sghiribizzo culturale fluttuante nella storia, l’individuo si trova sostanzialmente prigioniero di sé ma anche solo con se stesso. E se è ovvio che non sia questa la sede per richiamare, neppure nelle sue coordinate generali, la questione dell’evoluzionismo, di cui s’è infatti parlato recentemente in sedi autorevoli, dobbiamo tuttavia segnalare come si annidi, proprio nella posizione che prima evocavamo, un’interpretazione esasperata e unilaterale del paradigma evoluzionistico. Nel contempo, collegata alle due citate visioni antropologiche, e alla dialettica che le contrassegna, c’è una diversa concezione della libertà. Da una parte si ritiene – in base ad una riflessione millenaria e all’esperienza universale – che la libertà umana sia uno dei valori più grandi (per i cristiani essa è addirittura dono di Dio creatore), non però un valore assoluto né solitario. La libertà infatti deve fare i conti con altri valori - come la vita, la pace, la giustizia, la solidarietà… - che in qualche modo vengono prima e le danno come sostanza, anzi la rendono vera in quanto sono per il bene dell’uomo, e lo realizzano secondo quella linea di appartenenza che si identifica nella natura umana e con i vettori che dall’interno le danno sviluppo pieno. Il tipo di società che ne deriva è chiaramente aperto e solidale: in essa il farsi carico degli altri – specialmente dei più deboli, dei meno dotati ed efficienti – è congenito e vitale. Dall’altra parte, invece, si afferma una libertà individuale non solo come valore, ma come valore assolutamente primo, sciolto da qualsiasi altro vincolo che lo possa misurare, con il pretesto che la libertà non può negare se stessa, andando con ciò - se occorre - anche contro la persona. In questa prospettiva, la libertà sembra priva di relazione, è legge a se stessa, al di fuori di ogni contesto relazionale. L’individuo, paradossalmente, finisce schiacciato dalla propria libertà, e ritenendo di essere pieno e assoluto padrone di se stesso arriva a disporre di sé a prescindere da ciò che egli è fin dal principio del suo esistere. E concepisce ogni suo desiderio, magari confuso in qualche caso anche con l’istinto, quale diritto che la società dovrebbe riconoscere come elemento costitutivo di se stessa. In questa direzione, si scivola inevitabilmente verso un nichilismo di senso e di valori che induce alla disgregazione dell’uomo e ad una società individualista fino all’ingiustizia ed alla violenza. Anzi, verso un nichilismo gaio e trionfante, in quanto illuso di aver liberato la libertà, mentre semplicemente la inganna rispetto ad una necessaria e impegnativa educazione della stessa.




Simboli: Via il crocifisso da scuola pubblica in Spagna

Madrid | 23 novembre 2008

Via il crocifisso da scuola pubblica in Spagna
Il Parlamento spagnolo
Il Parlamento spagnolo

Trent'anni dopo la fine della dittatura franchista, che aveva elevato il cattolicesimo al rango di religione di Stato, un giudice del tribunale di Valladolid ha ordinato a una scuola pubblica della citta' settentrionale di rimuovere i crocifissi affissi alle pareti, malgrado la posizione contraria del consiglio scolastico.

Il giudice Alejandro Valentin ha deciso che la scuola pubblica Macias Picavea dovra' "ritirare i simboli religiosi dalle classi e dagli spazi comuni", accogliendo cosi' la richiesta del genitore di un alunno e di una associazione locale per la difesa della scuola laica. Il magistrato si e' basato sulla costituzione spagnola che garantisce "liberta' di religione e di culto", assicurando il carattere "laico e neutrale" dello Stato sulle questioni religiose.

I crocifissi erano presenti nella scuola dal 1930, e piu' volte il consiglio di istituto si era espresso contro la loro rimozione, dopo le prime richieste pervenute gia' nel 2005. E' la prima volta che la giustizia spagnola prende una decisione del genere, secondo l'associazione ricorrente.

Una questione simile fu affrontata a Jaen, in Andalusia, nel 2006, ma quella volta il governo regionale aveva preceduto il possibile intervento della giustizia facendo rimuovere di sua iniziativa i crocifissi da una scuola.

In Spagna la costituzione del 1978 assicura il carattere anticonfessionale dello Stato e delle sue istituzioni, ma tutti i nuovi capi di governo giurano fedelta' alla costituzione stessa davanti a un crocifisso.

Valladolid | 24 novembre 2008
Valladolid mette al bando il Crocifisso, il vescovo non ci sta: "Cristofobia"
Polemiche sulla decisione della magistratura spagnola
Polemiche sulla decisione della magistratura spagnola

"Mi sembra che il Crocifisso in una cultura come la nostra non vada a ferire nessuno, perché
il Crocifisso e' solo amore e pace" e la sentenza pronunciata ieri a Valladolid - che stabilisce che i crocifissi vanno tolti dalle aule scolastiche - "è stata un dispiacere". Questro il commento dell'arcivescovo di Valladolid, Braulio Rodríguez Plaza, ai microfoni del canale spagnolo della Radio Vaticana.

"In base a questa sentenza - osserva - qualunque segno religioso potrebbe essere cancellato e tolto in qualsiasi luogo, perché potrebbe ferire la suscettibilità e la sensibilità di molta gente. Allora faccio l'esempio di una città europea come Bruges, dove ci sono angoli, vie, incroci
in cui sono collocate tante piccole immagini della Vergine, di Cristo e non credo che la gente anche non religiosa, non cristiana, si dia pena per questo. Sono sicuro che mi diranno
che qui la questione è diversa… si tratta di un'aula, di una scuola dove stanno dei bambini… Allora, di questo passo, dovremo chiedere il permesso per dire 'io credo in Dio e in
nostro Signore Gesù Cristo'? Non lo so, se vogliamo arrivare a questo… Io voglio continuare a mostrare i simboli religiosi, perché mi pare che anche questo faccia parte della libertà religiosa a cui tutti teniamo".

La prolusione del cardinale Rouco Varela all'assemblea plenaria dei vescovi del Paese

La Chiesa in Spagna chiama
alla riconciliazione e alla solidarietà


Madrid, 24. "La Chiesa in Spagna, unita in Cristo e in comunione con la Chiesa di Roma, è stata e sarà sempre intensamente missionaria. L'attuale intensificazione della comunicazione tra i popoli e tra le culture non può certo cedere il passo a una minore valorizzazione della novità della fede cristiana, al relativismo religioso e culturale. Anzi è uno stimolo a rinnovare l'impegno missionario che porta a tutta la famiglia umana la notizia e la presenza della salvezza". Lo ha sottolineato, oggi, l'arcivescovo di Madrid, il cardinale Antonio María Rouco Varela, presidente della Conferenza episcopale spagnola (Cee) nel discorso inaugurale della novantaduesima assemblea plenaria dei presuli, che si tiene presso la Casa della Chiesa di Madrid fino a venerdì 28 novembre. "Il documento che stiamo elaborando - ha detto il porporato - deve poter offrire quel discernimento necessario per leggere i segni dei tempi e per animare le nostre comunità all'impegno missionario, segno visibile e decisivo del vigore della fede e della profondità di testimonianza che l'evangelizzazione suscita in noi. La Parola, come ha ricordato il Sinodo dei vescovi, deve essere incarnata, senza riduzioni e compromessi, e portata in tutte le strade del mondo". "Le Sacre Scritture - ha spiegato il cardinale - sono il testimone, in forma scritta, della Parola divina, sono il memoriale canonico, storico e letterario che attesta l'evento della rivelazione creatrice e salvifica. Pertanto la Parola di Dio precede e supera la Bibbia. Non possiamo dire che il cristianesimo sia una "religione del libro". Al centro della nostra fede c'è la storia della salvezza e in particolare una persona:  Gesù Cristo, Parola di Dio fatta carne, uomo, storia".
Riferendosi alla situazione sociale del Paese, il cardinale Rouco Varela ha rilevato che non sono pochi coloro i quali manifestano giustificata inquietudine per il pericolo di "un deterioramento d'una convivenza serena e riconciliata che siamo riusciti a logorare nella nostra società". La storia della Spagna degli ultimi due secoli - ha ricordato - è stata, per disgrazia, segnata da tensioni che più di una volta sono degenerate in contrasti fratricidi. L'ultimo e il più terribile di tutti negli anni Trenta, nel contesto di una situazione internazionale caratterizzata da ideologie totalitarie di diverso segno. "Grazie a Dio l'attuale situazione nazionale e internazionale non è la stessa. Però occorre sempre vigilare per evitare alla radice comportamenti, parole e strategie e tutto ciò che può dare adito a un confronto che può sfociare anche nella violenza". È necessario coltivare uno spirito di riconciliazione, di generoso sacrificio che caratterizza la vita sociale e politica del Paese. Si tratta di perseguire, senza rimozioni e codardie, "un'autentica e sana purificazione della memoria", fondata sugli alti ideali della giustizia, della libertà fino a quello evangelico del perdono e dell'amore fraterno. A tale cammino di riconciliazione tra le persone sono chiamate specialmente le giovani generazioni,  che  devono superare il pesante passato dimenticando rancori e contrasti.



(©L'Osservatore Romano - 24-25 novembre 2008)

Determinante l'opera dei missionari

Una semplice croce


di Juan Manuel de Prada

Un tribunale spagnolo ha appena emesso una sentenza con la quale si sollecitano i responsabili di una scuola pubblica a rimuovere i crocifissi dalle aule, adducendo come motivazione che la presenza di una semplice croce viola il "diritto fondamentale alla libertà religiosa e di culto". A nessuna persona in pieno possesso delle proprie facoltà sfugge che il segno della croce non viola nessun diritto fondamentale; tuttavia, da qualche tempo, l'invocazione di diritti e libertà si sta trasformando in Spagna in un pretesto giuridico che maschera un sentimento di odio antireligioso e di "cristofobia" - come in modo molto appropriato lo ha definito il cardinale primate Cañizares - sentimento che l'autorità avrebbe l'obbligo di perseguire, invece di concedergli una copertura giuridica. Da qualche tempo, in Spagna l'alone di odio attorno alla Chiesa di Dio - così definì Chesterton in L'uomo eterno quella "fosforescenza extraterrena" che, nei crepuscoli della storia, perseguita i cristiani - si è mascherato di giuridicità, sostituendo l'accanimento cruento di altre epoche non troppo lontane con un'apparenza più sibillina e asettica.
La visione di un crocifisso chi può offendere? Non, naturalmente, quanti non sono stati educati nel cristianesimo; poiché, per questi, un crocifisso sarà come il monolite che adoravano gli uomini delle caverne, una figura priva di significato religioso in cui, forse, scopriranno un significato storico. Non può esserlo neppure per quanti, educati nel cristianesimo, non professano però la fede cattolica; e oserei dire che, per questi ultimi, il crocifisso può riassumere le più nobili vocazioni dell'uomo:  vocazione di dedizione e di carità, da un lato, vocazione di mistero e infinitezza, dall'altro. Nulla di offensivo, dunque. Il crocifisso, in definitiva, può offendere solo quanti vogliono - e in questo consiste in realtà il laicismo, per quanto si nasconda dietro alibi giuridici - che lo Stato diventi un nuovo dio, con potere assoluto sulle anime.
Che si giunga a considerare un crocifisso offensivo in Occidente si può solo interpretare come un sintomo allarmante di amnesia o necrosi culturale; o - così ha detto Benedetto XVI nel suo discorso di apertura del recente Sinodo - come una "perdita d'identità". Da qualche tempo, un impulso autodistruttivo si sta impossessando dell'Europa, trovando la sua espressione più triste e pervicace nell'ansia di cancellare dalla nostra memoria il lascito morale e culturale del cristianesimo; e in Spagna questo impulso autodistruttivo assume espressioni violente. Come gli scorpioni che si pungono con il proprio pungiglione e agonizzano vittime del loro veleno, si direbbe che noi europei abbiamo deciso di annichilirci, emarginando e dimenticando l'eredità storica che ci costituisce. S'inizia a confondere la sana laicità dello Stato con una belligeranza antireligiosa che cerca di negare all'uomo il suo vincolo con la trascendenza, che cerca di cancellare la nostra genealogia spirituale e culturale. L'Europa sembra aver dimenticato che la patria dell'uomo, come ci ha insegnato Maritain, è l'Assoluto.
Quando l'uomo viene esiliato da questa patria comune, quando gli viene strappata questa parte irrinunciabile di se stesso, lo si sta condannando allo sradicamento, alle intemperie, all'abbandono, alla disperazione; lo si sta relegando, in definitiva, alla condizione di triste materia.
Il fatto che questo impulso autodistruttivo giunga alle scuole ci pone dinanzi a una realtà paurosa. Il Crocifisso ci insegna che la morte non ha dominio sull'uomo, che il motivo del nostro cammino terreno non è altro che il trionfo della vita. Quando si sa questo, tutto il resto acquista significato. Tuttavia il laicismo che oggi trionfa in Spagna ci vuole sempre più orfani d'identità; e sa che quando noi spagnoli smetteremo di guardare a colui che è appeso a quel legno, avremo smesso di sapere chi siamo e saremo pronti a essere ciò che vogliono fare di noi. Il laicismo intende privare di "senso" la trasmissione culturale della conoscenza, trasformandola in un mero accumulo di dati sconnessi; e per questo si sforza di allontanare i crocifissi dalla contemplazione dei bambini, poiché alla luce del Crocifisso i pezzi della conoscenza si assemblano, formano un amalgama che nutre di significato la vita e la storia umana.
In quella semplice croce si riassume la storia del genere umano, con tutta la sua genealogia di debolezza e grandezza, gioia e dolore. In quella semplice croce vengono riassunte e denunciate tutte le barbarie che l'uomo ha perpetrato, dall'uccisione di Abele fino a uno qualsiasi dei massacri che oggi decimano l'umanità; in essa si plasma il nostro fecondo anelito di ribellarci contro la morte. In quella semplice croce si riassumono le due vocazioni più nobili dell'uomo:  una vocazione di pietà e di donazione dinanzi alla sofferenza umana; e, insieme a essa, spiegandola, una vocazione di trascendenza che ci aiuta ogni giorno a risuscitare dalle macerie della nostra fragilità. Per venti secoli, il mistero della Croce è servito anche da gioiosa ispirazione alle più durature creazioni dell'arte e dell'intelletto; né Velázquez né Unamuno, per citare solo due figure spagnole che confluiscono dinanzi all'immagine del Crocifisso, sarebbero spiegabili senza tale mistero. Venti secoli di cultura occidentale si riassumono in questi due legni nudi:  venti secoli di conquiste che nobilitano la storia umana; venti secoli agitati di crudeltà che un Dio che si immola per le sue creature ci invita a detestare. In quella semplice croce, equilibrio umano dei due comandamenti, vi è tutto ciò che siamo, tutto ciò a cui aneliamo essere, tutto ciò di cui ci vergogniamo di essere stati.
Al lascito che rende nobili e che è riassunto in quella semplice croce sta oggi rinunciando l'Europa; e la sentenza che ha appena emesso un tribunale spagnolo consacra giuridicamente la rinuncia di un'Europa disorientata, irrazionalmente in preda a un impulso di autodistruzione.



(©L'Osservatore Romano - 24-25 novembre 2008)

[Modificato da zsbc08 14/06/2011 21:30]
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