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Il Manifesto del NeoMedioevo Simbolistico

Ultimo Aggiornamento: 14/06/2011 21:30
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27/11/2008 12:18

Il 2009 sarà l'Anno internazionale dell'astronomia

Grazie, Galileo


di José G. Funes
Gesuita Direttore della Specola Vaticana

"Gli uomini hanno delle stelle che non sono le stesse. Per alcuni, quelli che viaggiano, le stelle sono delle guide. Per altri non sono che delle piccole luci. Per altri, che sono dei sapienti, sono dei problemi":  ha ragione il piccolo principe di Antoine de Saint-Exupéry. Molte volte per noi astronomi i pianeti, le stelle, le galassie sono dei punti interrogativi, dei "problemi" che chiedono una risposta impegnativa, ragionevole, scientifica. Forse il piccolo principe ha seguito qualche corso di astronomia. Perché questa è l'immagine diffusa dello scienziato:  un uomo serio, che parla di cose difficili, incomprensibili per tutti tranne che per i suoi colleghi.
I quali, a loro volta, pongono altre domande alle quali è difficilissimo dare una risposta. Credo che il piccolo principe sarebbe felice di sapere che il 2009 sarà l'Anno internazionale dell'astronomia, dichiarato dall'Organizzazione delle Nazioni Unite per celebrare il quattrocentesimo anniversario delle prime osservazioni astronomiche che Galileo Galilei realizzò nel 1609 puntando il suo cannocchiale verso il cielo su iniziativa dell'Unione internazionale di astronomia - della quale la Santa Sede fa parte come Stato membro dal 1932 - e dell'Unesco. In Italia, paese promotore dell'iniziativa, questa è nota anche come Anno galileiano.
Alcuni grandi interrogativi che l'umanità si pone da secoli saranno riproposti e approfonditi per l'occasione da molti astronomi, i quali si impegneranno - pur nei limiti dell'operare scientifico - a elaborare risposte sempre più esaustive e soddisfacenti. Forse questo Anno servirà a convincere tutti cittadini del mondo che le stelle non vanno guardate solo come delle piccole luci, ma come delle amiche. "Quando tu guarderai il cielo, la notte, allora sarà per te come se tutte le stelle ridessero", ci ricorda ancora il piccolo principe.
L'astronomia ha avuto un ruolo di rilievo in quasi tutte le culture, ispirando le domande più profonde dell'uomo. Dal canto suo, la Chiesa ha sempre compreso l'importanza di questa scienza, incoraggiandola e promuovendola. Si pensi, solo per ricordare un esempio poco conosciuto, che nelle "riduzioni" del Paraguay, in particolare in quella dei Santi Cosma e Damiano, il gesuita argentino Buenaventura Suárez (1700-1750) era stato in grado di allestire un vero e proprio osservatorio astronomico nel mezzo della foresta tropicale. Riuscendo, con strumenti che si era fatto portare dall'Europa e altre apparecchiature costruite grazie all'aiuto dei guaraní, a compiere osservazioni e costruire delle tabelle astronomiche.
Proprio mentre sta per iniziare questo Anno internazionale, è inevitabile che si riproponga una delle questioni che ha segnato in questi secoli il dibattito sul rapporto tra fede e scienza:  qual è la posizione della Chiesa in relazione al caso Galileo? Non posso rispondere da esperto, né da persona neutrale. Appartengo alla Chiesa. E conosco quanto basta per rendermi conto che la complessità di questo argomento impedisce probabilmente di arrivare a conclusioni chiare e distinte. Penso che il caso Galileo non si potrà mai chiudere in un modo soddisfacente tutti. Io credo che l'umanità e la Chiesa debbano essergli riconoscenti per il suo impegno a favore del copernicanesimo e della Chiesa stessa. Il drammatico scontro di alcuni uomini di Chiesa con Galileo ha lasciato delle ferite che ancora oggi sono aperte. La Chiesa in qualche modo ha riconosciuto i suoi sbagli. Forse si poteva fare meglio:  sempre si può far meglio.
Un primo aspetto del caso Galileo riguarda l'ermeneutica biblica. Recentemente Benedetto XVI ha ricordato ai partecipanti alla plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze che "Galileo vedeva la natura come un libro il cui autore è Dio così come lo è delle Scritture". Un secondo aspetto del conflitto fu pastorale. Credo che Giovanni Paolo ii abbia dato qui una regola d'oro che dobbiamo sempre avere presente, avvertendo i teologi che è un dovere "tenersi regolarmente informati sulle acquisizioni scientifiche per esaminare, all'occorrenza, se è il caso o meno di tenerne conto nella loro riflessione o di operare delle revisioni nel loro insegnamento".
Per chi ha fede, la storia non è solo storia della scienza ma storia di salvezza. Da questo punto di vista dobbiamo ringraziare Dio per i nostri peccati che ci permettono di far esperienza della sua misericordia. È proprio questo che la Chiesa celebra quando canta l'Exultet nella veglia pasquale:  O felix culpa. In questo senso io spero che ciò che fu - e che forse ancora è - un terreno di conflitto possa diventare un terreno di incontro, di dialogo. Qualcuno potrà dire che questo è un atteggiamento un po' ingenuo. Ma non dobbiamo smettere di sognare. Se lo facessimo, quel giorno smetteremmo di essere umani.
Sarebbe ingiusto dire che la Chiesa si è impegnata per le scienze solo dopo Galileo:  egli stesso è la prova di questo impegno, già allora plurisecolare. Forse non ci sarebbe stato Galileo senza la Chiesa cattolica. E forse non ci sarebbe stata una Specola Vaticana senza Galileo.




(©L'Osservatore Romano - 27 novembre 2008)

I Padri della Chiesa e la visione del mondo prima di Tolomeo

Chi l'ha detto che i medievali
pensavano che la Terra fosse piatta?


Pubblichiamo la parte iniziale di uno degli interventi tenuti nel convegno "Leggere i Padri tra passato e presente:  continuità delle memorie e supporti digitali" che si è svolto a Cremona. L'incontro è stato un'occasione di riflessione e di confronto sul tema della tradizione patristica greca e latina fra medioevo e rinascimento.

di Agostino Paravicini Bagliani

Secondo un'opinione ancor oggi diffusa, l'Occidente medievale avrebbe creduto che la terra non aveva la forma di una sfera ma di un disco piatto e circolare. Accogliendo l'idea di una terra piatta, l'Europa medievale avrebbe abbandonato una delle più importanti concezioni cosmografiche e geografiche dell'antichità classica, che aveva trovato le sue più alte riflessioni teoriche nelle opere di un Cratete di Mallo o del grande geografo Tolomeo. Il rifiuto della sfericità della terra sarebbe uno dei tanti elementi dell'oscurantismo del medioevo, e una vera e propria discriminante tra medioevo e Rinascimento. I progressi della scienza geografica astronomica greca si sarebbero perduti sull'altare di una cosmologia teologica di stampo cristiano; la sfericità della terra sarebbe stata condannata nel medioevo perché contraria al dogma dell'unicità del genere umano o per altre ragioni.
Viceversa, la sfericità avrebbe riguadagnato terreno nel corso del rinascimento italiano, grazie all'introduzione in Occidente della Geografia di Tolomeo (all'inizio del XV secolo), alle grandi scoperte nautiche e ai viaggi di Cristoforo Colombo. Il medioevo costituirebbe una sorta di "vasta parentesi da Tolomeo a Tolomeo", dal secolo d'oro dell'Impero romano alla rinascita intellettuale dell'epoca delle grandi scoperte. 
A diffondere queste tesi, i manuali scolastici dell'Ottocento hanno svolto un ruolo determinante, in Italia e altrove. Essi riprendevano le grandi storie generali di quel periodo, relative alla storia della geografia, della cartografia e delle scienze naturali. Ma ciò che è storiograficamente ancora più curioso è che la tesi secondo cui la progressiva affermazione di una delle più importanti trasformazioni mentali del Rinascimento - la nascita della concezione del "globo terraqueo" - si sarebbe imposta contro le tradizionali concezioni cosmologiche del medioevo ostili alla sfericità della terra, è stata avanzata ancora qualche anno fa in un volume pubblicato dalla prestigiosa collana degli Annales di Parigi.
Il passaggio de la terre plate au globe terrestre per riprendere il titolo dell'opera, costituirebbe persino una mutazione epistemologica del medioevo verso la modernità:  "Durante tutto il medioevo, dal xii al XV secolo, spiriti sottili hanno tentato con diverse arguzie di elaborare sintesi per tentare di conciliare il mito biblico della terra piatta con l'idea greca di una terra rotonda:  piatta a livello dell'ecumene abitabile, sferica soltanto a livello dell'astronomia. Alla fine del XV secolo questo fragile edificio, coerente in apparenza, si è infranto. L'esperienza della navigazione iberica, dall'Atlantico al di là dell'equatore, ha spezzato un'immagine rassicurante, alla quale ci si era abituati da tre secoli".
Ora, ciò che mi interessa mettere in evidenza è che l'argomentazione del Randles - e più in generale di coloro che fin dall'Ottocento hanno messo in circolazione il mito della credenza medievale alla non sfericità della terra - si basano essenzialmente sulle celebri affermazioni di Lattanzio (250-317), che contengono la più categorica condanna della concezione sferica della terra. Come è noto, nelle Divinae institutiones, l'apologeta cristiano aveva sferrato un'acerba polemica contro "coloro che pensano che vi sono antipodi", i quali "hanno immaginato che il cielo era rotondo [...] e che anche la terra era rotonda come una palla, e che se il cielo è rotondo, anche la terra doveva essere rotonda" (Divinae institutiones, 3, 24).
Il mito di un medioevo ciecamente favorevole a una concezione della terra non sferica appare in opere di alto livello storiografico (vi si riferiva ad esempio Aaron Jakolewitsch Gurjewitsch), anche se in questi ultimi decenni il problema è stato affrontato criticamente da numerosi specialisti della geografia medievale che hanno dimostrato la sua infondatezza. Sono studi che hanno condotto a conclusioni radicalmente opposte a quelle cui si riferiva la tradizione ripresa dal Randles.
Già all'inizio degli anni Settanta del Novecento, lo storico americano della scienza medievale Edward Grant affermava:  "Contrariamente a un moderno errore popolare, per il quale prima della scoperta di Cristoforo Colombo si sarebbe pensato che la terra fosse piatta, non si conoscono flat-earthers di una qualsiasi importanza nell'Occidente latino (medievale)".
E come ha ricordato più recentemente Patrick Gautier Dalché:  "Non vi è nessun testo latino medievale che sostenga che la terra è un disco piatto".
Testi di questo genere non esistono anche perché, come è ben noto, Lattanzio fu riscoperto soltanto nel Quattrocento e non ha potuto quindi nutrire una discussione medievale in proposito. E quando fu riscoperto, non riuscì a convincere uomini di scienza come Copernico, che nella sua lettera dedicatoria al De revolutionibus, considerò "infantili" le opinioni di Lattanzio sulla forma della terra. Lattanzio impressionò però gli umanisti per le sue altissime qualità letterarie. Lorenzo Valla ne elogiò la qualità ciceroniana del suo stile.
Una forte opposizione alla teoria della sfericità della terra fu enunciata nel vi secolo da un Alessandrino nestoriano, Cosma Indicopleuste. Nella sua Topografia cristiana, Cosma polemizza con la cosmologia pagana, proponendo di considerare l'universo (cielo e terra) non come una sfera ma come un tabernacolo, di larghezza due volte superiore all'altezza.
Elaborando questa sua curiosa concezione cosmologica in aperta rottura con la cultura classica, Cosma infierisce contro i sostenitori della concezione di una terra come sfera e contro coloro che credono agli antipodi (4, 30-31), tentando in ogni modo di rendere ridicola la loro visione del mondo.
La Topografia cristiana di Cosma Indicopleuste conobbe un certo successo in Oriente e all'interno del mondo bizantino, ma è errato affermare, come è stato fatto, che tale opera abbia influenzato profondamente le concezioni geografiche dell'Occidente latino medievale:  nel medioevo latino, essa, infatti, non fu né letta né tradotta.
Se non si può ricorrere né a Lattanzio né a Cosma Indicopleuste per confermare la leggenda moderna della credenza medievale alla non sfericità della terra, ciò non elimina affatto il problema di una possibile influenza dei Padri della Chiesa sulle concezioni cartografiche e della visione del mondo. Il problema va però trasferito dalla non sfericità della terra alla questione degli antipodi, un problema a proposito del quale le affermazioni di sant'Agostino hanno esercitato una millenaria influenza fino al tardo Quattrocento.
Nel De civitate Dei, sant'Agostino non aveva messo in dubbio la sfericità della terra in quanto tale, ma aveva dichiarato che credere che esistessero persone che vivevano agli antipodi della terra corrispondeva a una "favola" (16, 9).
Anche l'unico testo medievale che sembrava poter confermare la credenza medievale alla non sfericità della terra riguarda di fatto soltanto la questione degli antipodi, di chiaro stampo agostiniano. Si tratta di una lettera di papa Zaccaria (741-752) al duca di Baviera, nella quale il pontefice risponde a una denuncia di Bonifacio contro l'irlandese Virgilio (+784), suo rivale per il titolo di vescovo di Salisburgo. In questa lettera, Virgilio viene definito sostenitore di una concezione cosmologica "perversa e iniqua", "contro Dio e la sua anima", poiché asseriva che "esiste un altro mondo e altri uomini sotto terra, ossia il sole e la luna". Per questa ragione egli sarebbe stato privato "dell'onore sacerdotale dal concilio".
Le affermazioni di papa Zaccaria sono state oggetto di numerosi commenti, perché sembravano fornire la prova di una condanna pontificia della sfericità della terra. Ma un'analisi più accurata ha permesso al Gautier Dalché di dimostrare che ciò che era in gioco non era affatto la concezione di una terra sferica, ma l'idea che uomini o popoli potessero vivere al di là della zona equatoriale, ossia "agli antipodi". La discendenza di Adamo era unica e non avrebbe potuto espandersi al di là della zona torrida equatoriale, priva di vita. Sempre secondo il Gautier Dalché, noi non sappiamo se Virgilio fu processato, né tanto meno se fu condannato. Di un suo viaggio a Roma, in relazione con le accuse di Bonifacio, non si hanno notizie, anzi alla morte di Bonifacio, Virgilio fu nominato vescovo di Salisburgo, e dopo il 748 non sembra che egli sia stato oggetto di accuse.
Al contrario, Alcuino lo elogia quale egregius praesul meritis et moribus almus e vir pius et prudens, nulli pietate secundus. E alcuni secoli dopo, nel 1233, Virgilio fu persino canonizzato, il che significa che né a Salisburgo né a Roma era rimasta traccia di un qualsiasi sospetto di eresia.



(©L'Osservatore Romano - 27 novembre 2008)


 


La sintesi tra tradizione e attualità del compositore greco Stamatis Spanoudakis

La musica come strumento di trascendenza


di Marcello Filotei

Germania, 1975. Stamatis Spanoudakis ricorda con precisione il periodo dell'adesione piena al cristianesimo, che cambiò la sua vita e rivoluzionò il suo modo di intendere la musica.
Il primo lavoro ispirato alla trascendenza arriva però solamente nel 1981, si intitola Signore delle potenze. Da allora il musicista cammina su questa strada, ma non crede che la musica religiosa possa realmente aiutare l'avvicinamento dei fedeli alla Chiesa. Il suono per lui è come una piccola candela che aiuta forse più il musicista che l'ascoltatore.
Scrivere opere di ispirazione religiosa - specialmente nell'ambito della Chiesa ortodossa che ha mantenuto un forte legame con l'antica liturgia - significa comunque inserirsi in una grande tradizione, senza dimenticare l'attualità. Il musicista greco ha composto diverse opere, cercando di far convivere il carattere nazionale con l'identità religiosa che permea tutto il suo lavoro.
Una delle ultime creazioni è intitolata La lacrima di Giovanni, una sorta di affresco sinfonico che utilizza un linguaggio tradizionale per evocare atmosfere rarefatte. Con le sue sonorità accattivanti e le melodie di immediata presa è uno dei suoi lavori preferiti, e potrebbe preludere a un simile approccio alla vita di san Paolo.
In questo, come nei numerosi suoi altri lavori, convergono i diversi interessi del compositore, che non fa mistero di essere influenzato dal linguaggio del rock, dal repertorio classico e dalle antiche musiche bizantine. Questa versatilità lo ha portato a scrivere numerose canzoni di successo, colonne sonore per diversi film in Grecia, in Germania e in Italia, ma anche musica per il teatro e per la televisione. Un'intensa attività che si può apprezzare negli oltre cinquanta album pubblicati.
Dal 1995, però, Spanoudakis si è concentrato principalmente sul repertorio strumentale, traendo ispirazione da temi della tradizione greca, soprattutto religiosa. Ne è scaturita una produzione con un'innegabile vocazione commerciale, che lo ha portato a vendere decine di migliaia di dischi, malgrado le rare apparizioni in pubblico.
Spanoudakis però non si fa illusioni, conosce le difficoltà di trasmettere al grande pubblico i messaggi portati dalla musica e sa che l'arte necessita di passione, ma anche di tempo e denaro. Il denaro è sempre meno, così come il tempo che le persone dedicano a se stessi, prima ancora che alla musica. "Solo ritrovando la tranquillità di guardare dentro di sé, si può trovare ciò che si ricerca con ansia nelle parole vuote e nelle opere degli uomini", sostiene il compositore.
In questo senso l'istruzione può aiutare ad avvicinare alla musica soprattutto le nuove generazioni, ma sicuramente non basta:  "La "bomba atomica", l'instant action, è la conoscenza con Cristo. Solo ciò salva. Il momento benedetto e così raro in cui il Creatore e la creatura diventano una cosa sola".



(©L'Osservatore Romano - 27 novembre 2008)



 Quattrocento anni dopo Galileo Galilei il rapporto tra fede e scienza in un convegno a Roma

Due ali
per volare verso la verità


"La scienza 400 anni dopo Galileo Galilei" è il titolo del convegno di studi che si apre a Roma, mercoledì 26 novembre, presso il complesso monumentale di Santo Spirito in Sassia. Pubblichiamo parte dell'intervento del cardinale segretario di Stato e la sintesi della relazione del presidente della Fondazione Terapia con Radiazioni Androniche (Tera).
 

di Tarcisio Bertone

La circostanza che motiva la presente iniziativa è duplice:  da una parte il fatto che l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha proclamato il 2009 Anno Internazionale dell'Astronomia, a memoria dei 400 anni (1609) dell'utilizzo da parte di Galileo Galilei del cannocchiale astronomico; dall'altra, il desiderio di Finmeccanica di commemorare il suo sessantesimo anniversario con un evento internazionale di alta valenza culturale, che solennizzi appunto l'Anno dell'Astronomia. La mia presenza vuole essere un incoraggiamento a valorizzare appieno queste ricorrenze, per allargare la comune riflessione sui sorprendenti sviluppi della scienza contemporanea, riflessione che trae vantaggio non solo dai progressi scientifici e tecnici in senso stretto, bensì anche dall'apporto della riflessione filosofica e dall'attenzione ai risvolti e alle implicanze etico-morali, religiose, politiche e sociali che la ricerca comporta. Questa esigenza diviene sempre più avvertita nella nostra epoca, date le enormi potenzialità che la tecnica offre agli scienziati:  si pensi, ad esempio, alle scoperte e agli esperimenti nel campo della bioingegneria genetica, ai risultati ottenuti nel settore della telematica applicata alla bio-meccanica, all'economia, alla finanza, all'esplorazione dello spazio; si pensi alle enormi capacità degli strumenti della comunicazione che permettono di raggiungere obbiettivi sino a poco tempo fa inimmaginabili. 
Questo convegno focalizza la sua attenzione in particolare su Galileo Galilei, considerato uno dei padri della scienza moderna. È anche a lui che molti attribuiscono quella trasformazione della natura del conoscere, nota come rivoluzione scientifica, dove la ragione si costituisce su nuove basi e viene concepita come un modo di pensare matematico; la scienza della natura cessa di essere un'opera di contemplazione, come per secoli era stata concepita, e diventa un attento lavoro di decifrazione; la ragione, come dicevo, si struttura su basi matematiche sostituendo al mondo reale dell'esperienza quotidiana un mondo geometrico astratto. Si tratta di un sapere fondato sulla verità sperimentale, che va a scontrarsi con la concezione della verità basata sulle certezze della tradizione. Da ciò scaturisce una nuova mentalità, una nuova logica e un mutamento dell'atteggiamento dell'uomo nei confronti della natura e del modo di interpretarla, descriverla e comprenderla.
Tutto questo ha portato agli sviluppi della scienza contemporanea, accompagnati da non pochi e spesso complessi interrogativi e problemi di diversa natura:  con la ricerca tecno-scientifica sono apparse problematiche di carattere etico e filosofico a motivo del suo crescente impatto antropologico e sociale. Ecco perché si impone oggi un'attenta e profonda riflessione sulla natura, sulle finalità e sui limiti della ricerca tecnica e scientifica.
Il dibattito è quanto mai aperto e a più riprese il magistero della Chiesa è intervenuto e interviene per offrire una parola illuminante, facendo appello alla missione, che le è propria, di servire il bene vero dell'uomo, essendo "esperta in umanità", come ebbe a dire Paolo VI nel memorabile discorso alle Nazioni Unite del 4 ottobre 1965.
Il tema dei limiti della scienza non può essere affrontato che considerando il sapere scientifico nel contesto dei saperi elaborati dall'uomo, in senso operativo, valutandone le motivazioni e le implicazioni etico-sociali.
Mi viene in mente quanto Giovanni Paolo II, 25 anni fa, ricordava a un gruppo di scienziati e di ricercatori:  "Si impone un rinnovamento morale - egli disse - se si vuole che le risorse scientifiche e tecniche di cui il mondo dispone attualmente siano messe al servizio dell'uomo". E proseguiva:  "Si avvicina il momento in cui si dovranno ridefinire le priorità" (Insegnamenti VI, 1 1983, p.1197, testo in francese).
Il vasto campo nel quale si situa il tema del presente convegno ha bisogno di essere esplorato con coraggio e prudenza, con apertura di mente e rispetto delle competenze di ogni ramo dello scibile umano. Lo avvertiamo tutti:  siamo in presenza di un'intrinseca complessità che caratterizza l'impresa tecno-scientifica contemporanea e il ruolo che essa svolge nell'ambito delle attese, delle speranze e delle angosce umane. C'è un dilemma a cui non si può sfuggire:  da un lato si avverte l'insorgere di problematiche etiche, complesse e inedite, in ragione di un divario che va allargandosi tra i rapidi sviluppi della ricerca scientifica e la disponibilità di strumenti e metodi di valutazione etica adeguati; dall'altro lato, si è costretti a registrare lo smarrimento del senso delle leggi morali ereditate dalla tradizione, e questo facilmente degenera in assenza di leggi.
Torna qui il rapporto tra fede e scienza, rapporto inscindibile e necessario, come già ricordava Giovanni Paolo ii nell'enciclica Fides et ratio, presentando la ragione e la fede, la scienza e la religione come le due ali che permettono all'uomo di raggiungere la verità senza eliminarsi e senza combattersi.
Il concilio vaticano II afferma che l'uomo "coll'aiuto della scienza e della tecnica, ha dilatato e continuamente dilata il suo dominio su quasi tutta intera la natura e molti beni che un tempo l'uomo si aspettava dalle forze superiori, oggi ormai se li procura con la sua iniziativa e con le sue forze" (Gaudium et spes, 33). Ma Benedetto XVI, citando il suo predecessore Giovanni Paolo II, osserva che proprio perché "gli scienziati sanno di più, devono servire di più. Poiché la libertà di cui godono nella ricerca dà loro accesso al sapere specializzato, hanno la responsabilità di utilizzare quest'ultimo saggiamente per il bene di tutta la famiglia umana" (Discorso di Sua Santità Benedetto XVI ai partecipanti alla plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze, in Insegnamenti, II, 2 2006, p.568, testo in inglese).
In conclusione il pensiero torna ancora a Galileo Galilei. Non è qui il luogo di riprendere questioni che hanno accompagnato la figura di questo grande scienziato nei suoi rapporti con la Chiesa. In questi ultimi anni ci sono stati interventi chiarificatori che, se hanno con grande sincerità posto in luce lacune di uomini di Chiesa legati alla mentalità dell'epoca, hanno permesso al tempo stesso di far risaltare la ricca personalità di questo scienziato che con il cannocchiale astronomico scoprì che la Terra non è il centro di tutti i movimenti celesti. Quel che mi pare debba essere sottolineato è che Galileo, uomo di scienza, ha pure coltivato con amore la sua fede e le sue profonde convinzioni religiose. Galileo Galilei è un uomo di fede che vedeva la natura come un libro il cui autore è Dio.
Vorrei leggere due sue affermazioni che mi sembrano molto belle e sapienti, scritte a Cristina di Lorena: 
"Mi par che nelle dispute di problemi naturali non si dovrebbe cominciare dalle autorità di luoghi delle Scritture, ma dalle sensate esperienze e dalle dimostrazioni necessarie, (...) procedendo di pari dal Verbo divino la Scrittura Sacra e la natura, quella come dettatura dello Spirito Santo, e questa come osservantissima esecutrice de gli ordini di Dio".
"Io qui direi quello che intesi da persona ecclesiastica costituita in eminentissimo grado, ciò è l'intenzione dello Spirito Santo essere d'insegnarci come si vada al cielo, e non come vada il cielo".



(©L'Osservatore Romano - 27 novembre 2008)
 Marginalità e centralità dell'uomo nell'universo

L'universo si gonfia come un palloncino


di Ugo Amaldi

I quattrocento anni dalla nascita di Galileo sono un'occasione unica per descrivere il percorso che ha condotto gli astrofisici ad abbandonare l'eliocentrismo, da lui con tanta convinzione propugnato, fino a giungere all'attuale cosmocentrismo. Galileo scoperse le macchie solari e i satelliti di Giove. Dopo di lui telescopi sempre più potenti furono utilizzati per scrutare il cielo notturno e in particolare la Via lattea, che già appariva come un insieme molto denso di stelle. Ma soltanto nel 1918 Harlow Shapley dimostrò che il Sole si trova a trentamila anni-luce dal centro della Via lattea e la visione galattocentrica sostituì l'eliocentrismo.
Il passaggio dalla visione galattocentrica a quella cosmocentrica fu invece rapido. All'inizio degli anni venti Edwin Hubble misurò la distanza a cui si trova la nebulosa Andromeda e concluse che è un'altra galassia. Nel 1929 lo stesso Hubble annunciò il fatto che le innumerevoli galassie, allora appena scoperte, si allontanano dalla Via lattea con una velocità che è tanto maggiore quanto più esse sono lontane. Le galassie si allontanano perché lo spazio cosmico che separa le galassie aumenta continuamente di volume, come aiuta a comprendere la metafora del palloncino di gomma e delle galassie rappresentate da coriandoli incollati sulla sua superficie. Quando il palloncino viene gonfiato i coriandoli-galassie si allontano gli uni dagli altri, ma nessuno di loro occupa una posizione speciale. 
Oggi sappiamo che l'universo è fatto da cento milioni di galassie, ciascuna delle quali contiene cento milioni di stelle. Quando il palloncino-universo ha cominciato a gonfiarsi quattordici miliardi di anni fa la massa-energia di tutte queste galassie occupava un volume piccolissimo. Dobbiamo parlare di massa-energia, e non di massa e di energia separatamente, perché esse si possono trasformare l'una nell'altra. In particolare, nelle collisioni e decadimenti delle particelle che accadevano nella zuppa cosmica durante le prime frazioni di secondo dopo il big bang, le masse di nuove particelle, e delle loro antiparticelle, erano create nelle continue collisioni.
Un cambiamento di prospettiva del quadro cosmocentrico si annunciò quando, negli anni trenta, gli astrofisici si accorsero che le stelle periferiche ruotano intorno al centro della propria galassia con una velocità che è molto maggiore di quella che si calcola tenendo conto della massa dei cento milioni di stelle che la costituiscono. Ciò è dovuto al fatto che ogni galassia è immersa in un enorme alone fatto di una sostanza, che non è visibile ai telescopi, perché non assorbe e non emette luce, e che per questo è detta "materia oscura".
La relatività generale interpreta l'espansione dell'universo come dovuta alla continua creazione di spazio che avviene negli spazi intergalattici. Questa espansione, rapidissima all'inizio, diventa sempre più lenta fino ad arrestarsi a causa dell'attrazione gravitazionale tra le galassie. Ma nel 1998 fu scoperto che il palloncino, cioè l'universo, ha da qualche miliardo di anni cominciato a espandersi e lo fa sempre più rapidamente. Ciò è dovuto a una forza repulsiva prima inosservata, che respinge le galassie e tende a vincere l'attrazione gravitazionale.
La densità di questa "energia oscura" contribuisce, insieme alla massa-energia visibile e alla materia oscura, alla massa-energia totale dell'universo. Anzi, ne è la frazione maggiore, ben il 73 per cento. La materia oscura rappresenta invece il 23 per cento della densità totale e la massa-energia visibile ne è soltanto il 4 per cento. Il sistema solare fa parte di quel piccolo 4 per cento, un motivo di più perché, nella moderna visione cosmocentrica, l'uomo si senta fisicamente marginale.
I valori numerici di queste tre frazioni sono la conseguenza dei fenomeni accaduti durante il primo milionesimo di secondo contato a partire dal big bang. Allora l'universo era una zuppa cosmica di particelle, che si trovava a una temperatura molto più elevata di quella che si ha al centro del Sole e occupava un volume molto più piccolo di quello della nostra galassia. Ma cosa vuol dire temperatura "più elevata"? Semplicemente che le particelle si urtavano continuamente e disordinatamente tra loro con energie proporzionalmente maggiori. "Altissime temperature" è infatti sinonimo di "urti tra particelle ad altissime energie".
Poiché sulla Terra non è possibile produrre queste temperature, le condizioni di allora possono essere studiate in laboratorio soltanto accelerando le particelle singole a energie elevatissime e facendole urtare in modo che le energie di collisione siano uguali a quelle che si avevano quando le stesse particelle si agitavano nella zuppa cosmica. Per questo i grandi acceleratori circolari del Cern sono gli strumenti che permettono di ricostruire ciò che accadde allora.
Negli anni novanta, al Large electron positron collider del Cern (il Lep) abbiamo riprodotto e studiato le condizioni che si avevano nella zuppa cosmica un decimo di miliardesimo di secondo dopo il big bang. Tutte le particelle osservate al Lep, e le forze che agiscono tra di loro, sono state integrate in un modello completo e simmetrico che è detto "modello standard" delle particelle e delle forze.
Nel quadro di questo modello è possibile calcolare la densità dell'energia oscura. Infatti, secondo la meccanica quantistica il vuoto cosmico non è il nulla:  nel vuoto si creano e si distruggono continuamente coppie di particella-antiparticella che, come conseguenza del principio di indeterminazione, esistono soltanto per tempi brevissimi. Con il modello standard questo calcolo dà però una densità di energia molto maggiore di quella che si osserva.
Per risolvere i problemi della materia oscura e dell'energia oscura, il modello oggi più preso in considerazione è la "teoria delle corde" detta, più semplicemente e per assonanza con la parola inglese string, "teoria delle stringhe". In questo modello le particelle del modello standard non sono puntiformi. Esse vanno pensate come infinitesimi anellini che possono vibrare in modi diversi, così come una corda di violino può emettere note diverse; ogni modo di oscillazione appare come una particella diversa.
Questa teoria molto generale permette di inquadrare tutte le particelle del modello standard e per di più predice che per ognuna di queste particelle esista un'altra particella, che è la sua superparticella. Questa duplicazione, descritta in una sola frase, appare come un trucco da imbonitori; in realtà la sottile simmetria che essa introduce nella teoria è talmente bella e soddisfacente da essersi meritato il nome di supersimmetria e da aver convinto moltissimi scienziati della sua validità, anche in assenza di prove sperimentali.
Le particelle supersimmetriche hanno masse tanto grandi da non poter essere prodotte al Lep. Invece nel Large hadron collider - costruito nello stesso tunnel del Lep e in funzione al Cern dall'anno prossimo - le collisioni avverranno a energie dieci volte più grandi e i sostenitori della supersimmetria sono convinti che saranno create e osservate almeno le più leggere della ventina di nuove particelle previste. Tra di esse vi sarebbe una superparticella neutra stabile, che cioè non decade. Un'enorme quantità di questi neutralini sarebbero stati prodotti nei primi milionesimi di milionesimo di secondo e, poiché sono stabili, formerebbero oggi gli enormi aloni di materia oscura che danno la loro forma alle galassie.
Cosa dice la teoria delle stringhe dell'altro grande problema aperto, quello dell'energia oscura, l'energia del vuoto cosmico? Negli ultimi anni è stato dimostrato che esiste un numero incommensurabilmente grande di possibili teorie delle stringhe. In ciascuna di queste versioni l'energia oscura ha un valore diverso, talvolta grandissimo - quale lo si calcola nel quadro del modello standard - talaltra piccolo o piccolissimo, come è osservato sperimentalmente.
Nel 1987 il premio Nobel Steven Weinberg argomentò che nel nostro universo si misura un valore tanto piccolo perché, se la densità di energia oscura fosse più grande, l'universo stesso collasserebbe rapidamente e non vi sarebbe il tempo necessario alla formazione di stelle e di pianeti.
Da qui il passo è breve all'ipotesi che esistano un enorme numero di universi, nei quali la densità dell'energia oscura assume tutti i possibili valori; gli esseri pensanti possono allora emergere soltanto in quei pochissimi universi che sono caratterizzati da valori piccolissimi di tale densità. Sui giornali, specialistici e no, il dibattito sull'ipotesi del multiverso è giustificatamente animato, dato che questo modello non può considerarsi scientifico finché i suoi proponenti non avranno fatto una predizione univoca che possa essere controllata sperimentalmente. Comunque a nessuno sfuggono le implicazioni sulla centralità dell'uomo nell'universo. 
Il percorso storico fatto mostra che, a partire da Copernico e Galilei, l'antica centralità dell'uomo nell'universo - che allora appariva a tutti evidente - è andata perduta. Sono convinto che - nel dibattito culturale del secolo da poco cominciato - il confronto tra marginalisti e centralisti avrà una grande influenza sulla discussione tra ateisti e teisti, innanzitutto perché oggi la sottende e poi perché essa sarà alimentata da sempre nuovi risultati scientifici. Proprio in vista di ciò, penso sia importante cercare di costruire un quadro di riferimento che chiarisca i termini delle questioni.
I problemi scientifici, come quelli discussi sinora, sono soltanto una piccola frazione delle domande generali che gli uomini pongono e si pongono e che possono essere classificate in problemi scientifici, questioni filosofiche e quesiti esistenziali. Nel rispondere a tutte queste domande ciascun uomo impiega tre componenti di una stessa e unica ratio, dell'unico intelletto:  la razionalità scientifica - che risponde ai problemi scientifici, la ragione filosofica - che considera le questioni filosofiche e la ragionevolezza sapienziale - che risponde ai quesiti esistenziali. Questa distinzione non è nominalismo, perché a ciascuna di queste componenti corrispondono oggetti, metodologie e criteri di verità diversi.
Una metafora permette di illustrare l'argomento. Poiché è possibile individuare a priori le domande che costituiscono un problema scientifico, esse possono essere rappresentate da cerchietti di uno stesso colore disegnati al centro di un piano molto vasto. Questi cerchietti sono così disposti tutti all'interno di una linea chiusa, un confine, che lascia al di fuori tutte le domande non scientifiche.
Considero ora il moto della ratio di colui che, partendo dai dati del mondo naturale studiati dalla scienza, attraversa metaforicamente il confine. Nel quadro della metafora, questo moto può essere descritto come un passo di trascendenza orizzontale; trascendenza perché questo termine indica sia l'esistenza di un confine che la presenza di qualcosa che si trova al di là; orizzontale perché ci si muove nel piano metaforico ove sono distribuite tutte le domande.
Come esempio considero l'argomento di Jacques Monod, che individua la base del metodo scientifico nel rifiuto delle interpretazioni che sono date in termini di realizzazione di un progetto:  il sasso cade perché la forza di gravità lo attira e non perché il suo posto naturale - il suo progetto - sia il suolo. Monod conclude che l'unica scelta razionale è quella di estendere questo principio al di fuori del confine della scienza, di modo che non è legittimo parlare di un progetto divino sulla natura. Evidentemente questo passo di trascendenza orizzontale non è giustificato dal solo sapere scientifico ma è influenzato dal vissuto personale e da considerazioni filosofiche e sapienziali, che si trovano al di fuori del confine.
Non è sostanzialmente diverso il comportamento di colui che, guidato dalla sua diversa esperienza esistenziale e dalla sua ragione filosofica e ragionevolezza sapienziale, uscendo dal confine del sapere scientifico compie un passo di trascendenza verticale scegliendo, ad esempio, un'opzione religiosa o filosofica che privilegia la centralità dell'uomo nella natura.
In conclusione, questa ingenua metafora mostra che - comunque e sempre - l'intelletto compie un passo di trascendenza:  alcuni scelgono la trascendenza orizzontale, altri la trascendenza verticale, e le motivazioni stanno tutte al di fuori del confine del sapere scientifico. Ho constatato di persona che questa impostazione, senza far cambiare posizione ad alcuno, chiarisce i termini del confronto tra teisti e ateisti, tra centralisti e marginalisti.



(©L'Osservatore Romano - 27 novembre 2008)
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