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Il Manifesto del NeoMedioevo Simbolistico

Ultimo Aggiornamento: 14/06/2011 21:30
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17/12/2008 09:39

La vulnerabilità psichica, le sette e la chiaroveggenza
I meccanismi psicologici della persuasione occulta

La vulnerabilità psichica, le sette
e la chiaroveggenza di Belloc

 di Raffaele Alessandrini L'assenza di certezze e di verità assolute, la perdita progressiva di punti di riferimento - etici, culturali, spirituali - possono esporre a miraggi, a raggiri, a truffe, nonché a ben più seri pericoli, diversi soggetti psichicamente fragili:  giovanissimi, giovani, adulti solo anagraficamente "maturi".
L'idea di fede, non da oggi, si presta a equivoci. E "credere" di per sé può significare tutto e niente. San Giacomo stesso rammenta che "anche i demoni credono - e tremano". La fede deve essere congiunta a una verità che solo la carità vissuta rende riconoscibile nei tratti di un volto preciso. Tale consapevolezza, per il cristiano, non può che suscitare riflessioni prossime all'esame di coscienza. Se molti infatti oggi rifiutano, o ignorano, Cristo e sono incapaci di riconoscere nel prossimo un fratello, non sarà anche per effetto di un'incoerenza o, quantomeno, per carenza di testimonianze di vita e di mancata predicazione di non pochi battezzati? Non è sintomatico che il cristianesimo in Europa sia oggetto di una crescente estromissione culturale prima che religiosa?
Nella società dell'"usa e getta" e del "tutto e subito", l'uomo - sempre più individuo, e sempre meno persona - persegue sicurezze e felicità molto terrene e del più facile e rapido accesso. Per esse è disposto a rinunciare anche alla propria autonomia di giudizio e, nei fatti, perfino alla libertà. Sono considerazioni che sorgono di fronte al volume di Aureliano Pacciolla e Stefano Luca, La vulnerabilità psichica e il pericolo delle sette, (Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2008, pagine 226, euro 16,50). Gli autori, entrambi psicologi, articolano la loro indagine partendo dal presupposto che lo studio dei condizionamenti aiuti a comprendere i propri limiti - in quanto tutti siamo in diversa misura influenzabili - ma serva anche di difesa da chi volesse, per fini mirati, condizionarci. Essi, a ragione, sottolineano che la facoltà di poter controllare gli altri è sempre stato il desiderio - e la strategia - di molti leader politici, religiosi, nonché di altre categorie come commercianti o medici.
Il volume si snoda a partire dall'attualità e nella prospettiva giuridica dei fenomeni. Un primo capitolo riguarda la "vulnerabilità sociale" ove si esamina il concetto di "pericolosità". Si considerano i contesti più elementari:  della famiglia, della scuola, del lavoro; degli ambiti giovanili dove si manifestano più facilmente i fenomeni di devianza e di criminalità. E si avverte la necessità di ripensare il concetto della facoltà "di intendere" e "di volere" che comunemente viene fatto coincidere con la raggiunta "maggiore età" a diciotto anni. Così "con il concetto di "immaturità" si viene a delineare una sostanziale differenza nell'ordine del procedimento penale fra adulti e infradiciottenni:  l'adulto può essere ritenuto non imputabile solo in presenza di una infermità o di condizioni specificatamente invalidanti". È poi vero che l'infermità o l'invalidità possono essere legate a stati transitori prodotti da uso e abuso di alcolici o di sostanze stupefacenti. Si impone quindi una strategia a livello educativo e giuridico - non solo giudiziario - che riproponga il valore della "responsabilità", sia in ottica riparativa, in sede processuale, sia, prima ancora, in sede educativa, limitando al massimo, ove possibile, l'entrata del minore in strutture penali.
Un passo successivo si attua nel capitolo:  "Dal culto alla manipolazione". C'è modo di riflettere sui casi di plagio, fenomeno non sempre giuridicamente circoscrivibile, anzi. Perfino in contesti e in soggetti animati da fervida fede religiosa può andare smarrito il senso dei diritti inviolabili di cui tutti devono godere. E qui vien fatto di pensare a certe situazioni familiari fino a talune comunità, o gruppi religiosi, dove vengono lese, talvolta anche con metodi violenti e coercitivi - materiali, fisici e morali - la libertà e la dignità personali; e l'intento correttivo stesso scantona nell'abuso e nel maltrattamento. Parole durissime vengono poi riservate ai casi di pedofilia nel clero con riferimento ai numerosi casi accertati nel Nord America. Significativamente il volume dedica ampio spazio al tema della "vittimologia" distinguendo la diversità di ruoli, di fisionomia, dei fattori di rischio e di responsabilità.
Lo scenario gradualmente si amplia e la disamina, con l'ausilio costante di schemi e diagrammi, mette a fuoco anche i reati causati da movente religioso, se non addirittura magico, ove vengono ad aggiungersi l'inganno e la truffa. Un capitolo a parte è dedicato alla "persuasione", figura filosofica, se non vera e propria divinità, nel mondo classico. Gli autori qui si soffermano su modi ed espressioni diversi di persuasione:  da quelli manifesti a quelli più subdoli:  di natura psicologica, tendenti a far leva sugli istinti, e in grado di agire perfino a livello inconscio. È il caso della persuasione occulta e dei messaggi subliminali - dal latino sub limen ossia "sotto la soglia" - concetto riferito alla possibilità che un dato messaggio si imprima nella mente del destinatario senza che questi ne sia consapevole. I primi esempi di messaggio subliminale risalgono a mezzo secolo fa e furono adottati in un cinema di Fort Lee nel New Jersey per pubblicizzare pop corn e Coca cola. Ma esistono anche messaggi subliminali di tipo uditivo. Gli autori qui ricordano anche quelli - negativi:  inneggianti perfino alla violenza e al suicidio - che talvolta sarebbero stati celati in certa musica rock, inseriti, con vari accorgimenti, nelle registrazioni di brani musicali anche di complessi molto famosi di musica leggera.
Non è certo una novità che legami tra satanismo, esoterismo e certa musica moderna siano rintracciabili, e anche riconoscibili, in alcune mode giovanili, nell'uso e nell'abuso di simboli e di certa estetica dai connotati oscuri e cadaverici. Ma gli stessi autori sembrano suggerire l'idea di un fenomeno riconducibile più a escamotages pubblicitari che a realtà autentiche. Anche per quanto riguarda le sette, alla cui complessa realtà è dedicato l'ultimo e più interessante capitolo del libro, gli autori sembrano suggerire un atteggiamento equilibrato:  vigile sui fenomeni legati all'attività delle sette sataniche propriamente dette, ma senza enfatizzarne eccessivamente il carattere. Un aspetto, nell'insieme del fenomeno, meno esteso di quanto sovente l'informazione sembra suggerire - e, forse, prediligere morbosamente - di fronte a fatti di sangue efferati di cui non sempre, o non subito, vengano trovati moventi, mandanti ed esecutori.
Di fatto l'influsso e la diffusione indiscutibile di nuovi culti e gruppi settari che - come dimostrano accanto alla cronaca, l'attività e il monitoraggio di istituti sociologici ad hoc e l'ampia bibliografia sul tema - sono comunque all'origine di un crescente disagio sociale che richiede rimedio a partire da un'opera di studio specializzato e di prevenzione che consideri i fenomeni soprattutto dal punto di vista psicologico "evitando di soffermarsi ad analizzare la matrice teologica o ideologica" di questo o quel gruppo. "Ciò che conta sapere e conoscere esattamente - sostengono gli autori - è l'operato del gruppo, non tanto ciò in cui crede. Nei gruppi settari il sistema di credenze finisce per essere uno strumento che serve desideri, capricci e progetti nascosti del leader". È poi necessario che "siano le famiglie in primo luogo, a saper vigilare e a essere in grado di leggere gli eventuali segnali di allarme" riscontrabili sui più giovani. Essi vanno seguiti nei loro comportamenti:  nei repentini cambi di abitudini, nel tipo di musica che prediligono, osservando disegni, simboli nuovi, modo di vestire e di atteggiarsi. "Nell'epoca del computer e della conquista dello spazio, sembra incredibile dover ricorrere a un talismano per riuscire a ritrovare fiducia in se stessi, l'amore, il denaro, la felicità. Eppure tutto ciò sta accadendo". I raggiri umanamente e socialmente devastanti delle sette - alcune delle quali famose e potenti a livello internazionale e che non di rado si avvalgono di volti universalmente noti di attori, sportivi, cantanti - e le stesse truffe dei maghi, muovono "un giro di affari di miliardi grazie alle sofferenze delle persone (...) È forse arrivato allora il tempo - concludono gli autori - di promuovere una "cultura dell'impegno" che valorizzi i piccoli sforzi della vita quotidiana per raggiungere un determinato obbiettivo. Non dare la possibilità a un ragazzo di affidarsi alla "cultura del non-impegno" proposta da maghi, guru e santoni vari che distribuiscono illusioni sulla formula "Avrai tutto e subito, senza sforzi"".
Non solo la psicologia e la giurisprudenza, ma anche la storia, e la filosofia della storia - a nostro avviso - potrebbero contribuire a illuminare il cammino. Viene in mente quanto affermato negli anni della grande guerra dal pensatore anglo-francese Joseph Hilaire Belloc nel suo saggio Europe and Faith - L'anima cattolica dell'Europa (traduzione di Mario Bendiscioli, Morcelliana, 1927). In quelle pagine egli analizzava le cause della frattura dell'unità spirituale europea, riconducendole in buona parte agli sconvolgimenti politico-religiosi del XVI secolo. L'effetto della divisione - diceva - fu l'isolamento dell'anima. Dal venir meno di quella unità sarebbero derivate gravi conseguenze e, in particolare, elencava Belloc:  "Il sorgere (...) di quello che oggi chiamiamo "capitalismo", il quale consiste nella concentrazione dei mezzi di produzione nelle mani di pochi individui che ne usano per sfruttare i più; la corruzione del principio dell'autorità fino a confonderlo con la mera forza; l'aumento generale (...) della ricchezza in rapporto allo sviluppo delle scienze della natura"; e di conseguenza:  "Il dilagare senza limiti dello scetticismo, che, sia sotto le forme tradizionali, sia senza di esse, fu fin dall'inizio spirito di "completa" e radicale negazione e condusse a dubitare non solo di ogni istituzione umana, ma anche di ogni forma di conoscenza, incluse le verità matematiche". Emerge evidente qui il germe del relativismo odierno; ma nel riferirsi a tali effetti, il grande amico di Chesterton coglieva soprattutto "l'universalizzarsi progressivo di una nota:  quella della disperazione".
All'isolamento dell'anima si ricondurrebbe la perenne insoddisfazione della modernità. "L'anima isolata, in quanto costretta a un grande vagabondaggio non può rimanere nel vuoto:  se l'accecate, essa si muoverà a tentoni; se non potrà afferrare gli oggetti nelle varie qualità come i diversi sensi gliele presentano, s'accontenterà di attenersi a ciò che per mezzo di uno solo percepisce". E quindi il razionalismo settecentesco e la sua naturale prosecuzione, il materialismo ottocentesco e, parallelamente i dubbi irrazionali di Kant "includenti tanto vecchiume sentimentale, sviluppati fino al deciso caos dei più recenti metafisici, col loro ripudio della contraddizione e dello stesso concetto di essere, tutti questi movimenti scaturirono dal bisogno dell'anima senza appoggio di crearsi da sola un sistema traendolo dal suo intimo".
Così rifletteva Belloc, dopo il primo conflitto mondiale.
Abbiamo ben presente come il secondo dopoguerra nel ventesimo secolo abbia visto instaurarsi, e persistere fino al 1989, una situazione sostanziale di equilibrio e di tregua armata tra le maggiori potenze - punteggiata da frequenti e circoscritti conflitti d'interesse e di supremazia giocati per lo più sulla pelle dei più deboli - tra il blocco occidentale e quello orientale, cioè tra capitalismo e socialismo. Con il crollo dei muri - e delle ideologie - e, di fatto, con il disfacimento del materialismo scientifico a vantaggio del materialismo pratico consumistico ed edonistico, soggiogato a uno strapotere mediatico padre naturale dell'inesorabile declino culturale circostante, si conferma la premonizione di Belloc sull'Europa quando alla fine del vagabondaggio disperato dell'anima scorge "un'universale negazione e una sfida universale a ogni istituzione e a ogni principio razionale". E conclude "poiché l'umanità non può acquietarsi in tale condizione d'anarchia, dobbiamo ben credere che stia per annunziarsi, ovvero sia già cominciata, un'altra epoca in cui l'anima in cerca di un sostegno collettivo farà ricorso a strane religioni:  alla magia e alla negromanzia". Nel 1963 Paolo vi diceva agli universitari cattolici:  "Il cattolicesimo purtroppo non copre più che in parte l'area europea, e nemmeno arriva oggi a tanto la cristianità; ma è certo però che tutta l'Europa attinge dal patrimonio tradizionale della religione di Cristo la superiorità del suo costume giuridico, la nobiltà delle grandi idee del suo umanesimo, la ricchezza dei principi distintivi e vivificanti della sua civiltà. Quel giorno che l'Europa ripudiasse questo suo fondamentale patrimonio ideologico cesserebbe di essere se stessa. È ancora vera la parola apparentemente paradossale dello storico inglese Belloc che stabilisce un'equazione fra la fede cattolica e l'Europa. Il Rosmini a suo tempo aveva già detto qualcosa di simile" (2 settembre 1963).



(©L'Osservatore Romano - 17 dicembre 2008)

   
  Placido Riccardi e la congregazione cassinese nella seconda metà dell'Ottocento

Quando in Parlamento
si votava la soppressione dei conventi

 L'abbazia di Santa Maria di Farfa ha ospitato un simposio sulla figura del beato benedettino. Pubblichiamo stralci di uno degli interventi. di Mariano Dell'Omo
Pontificio Ateneo di Sant'Anselmo
Mi ha sempre colpito il fatto che la vita monastica del beato Placido Riccardi sia contrassegnata da paralleli eventi di portata storica per il futuro stesso della vita religiosa in Italia:  entrava postulante a San Paolo fuori le mura il 12 novembre 1866, a pochi mesi dalla legge del 7 luglio di quell'anno che sopprimeva le corporazioni religiose in tutto il regno d'Italia; la sua professione solenne e la stessa consacrazione sacerdotale avvenivano nel marzo del 1871, quindi pochi mesi prima dell'ingresso ufficiale, avvenuto a luglio, di Vittorio Emanuele ii in Roma capitale d'Italia, o se si vuole pochi mesi dopo la fatidica breccia di Porta Pia (20 settembre 1870), che significava la fine del potere temporale dei papi.
Certo sin da ragazzo dovette respirare un clima nuovo, surriscaldato, destinato a sconvolgere anche quella plurisecolare vita monastica da lui presto abbracciata, e che rischiava di soccombere sotto i colpi delle soppressioni. Già quando il Riccardi aveva 11 anni - nel 1855 - al Parlamento subalpino si poteva sentire Angelo Brofferio, l'esponente più in vista della sinistra costituzionale, anticlericale puro, esclamare:  "Risulta che vi sono nello Stato 490 conventi. Il ministero mi vuol proporre di sopprimerli tutti? Io gli dò il mio suffragio con grande esultanza. Vuol sopprimere la metà? Io mi rassegno e voto per l'abolizione di 245 conventi. Mi chiede di sopprimerne cento? Io voto per 100. Vuol sopprimerne 10? Io voto per 10. Vuol sopprimere un convento? Io voto per la soppressione di un convento. Vuole abolire un frate? E io voto per l'abolizione di un frate! Ricusar in politica un atomo di bene perché a un maggior bene non si può conseguire, è ai miei occhi error grande".
Questo frammento di discorso parlamentare, prammatico a senso unico e fantasmagorico perché, come abbiamo ascoltato, costruito con la tecnica retorica dell'anticlimax, cioè della gradazione discendente di possibilità via via più ridotte e tuttavia sempre con soddisfazione accolte, oggi può anche farci sorridere:  in realtà fu pronunciato in tutta serietà durante le discussioni per l'approvazione della legge del 29 maggio 1855, con la quale erano soppressi nel regno di Sardegna alcuni Ordini religiosi, capitoli e benefìci, e al tempo stesso si disponeva che i beni delle corporazioni religiose soppresse confluissero in un'apposita cassa ecclesiastica. Quello del 1855 non era che l'anticipo di quanto sarebbe avvenuto a livello nazionale 11 anni dopo, appunto con la citata legge del luglio 1866.
Le conseguenze non erano di poco conto:  per gli enti soppressi ne derivava la perdita della personalità giuridica, mentre d'altra parte per i religiosi ne scaturiva finalmente l'acquisto dei diritti civili e politici. Un mutamento epocale, che evidentemente coinvolgeva in pieno anche i membri della congregazione cassinese. Basti qui ricordare l'articolo 33 della legge soppressiva del 1866 che segnava espressamente il destino di importanti monasteri della congregazione:  Montecassino, la Santissima Trinità di Cava, San Martino delle Scale a Palermo, Monreale, oltre che la Certosa di Pavia. Esemplare è la diversa sorte che toccò a Montecassino e all'abbazia palermitana di San Martino, esemplare perché ci aiuta a capire la complessità di quel momento storico e le sue varianti. Per entrambi quella disposizione di legge prevedeva l'incameramento nei beni demaniali dello Stato:  "Sarà provveduto dal Governo alla conservazione degli edifizi colle loro adiacenze, biblioteche, archivi, oggetti di arte, strumenti scientifici e simili... " di quelle abbazie, come pure - si aggiunge - "di altri simili stabilimenti ecclesiastici distinti per la monumentale importanza e pel complesso dei tesori artistici e letterari. La spesa relativa sarà a carico del fondo pel culto".
Per Montecassino la legge ebbe attuazione nel 1868:  puntualmente i beni appartenenti alla corporazione monastica insieme al patrimonio immobiliare consistente in terre, fabbricati, edifici monastici furono incamerati, ma - particolare non privo di conseguenze - l'abate continuava a rivestire la funzione di Ordinario della diocesi cassinese, la chiesa abbaziale ne costituiva la cattedrale, e il monastero stesso era riconosciuto quale residenza del capitolo formato dalla comunità dei monaci, oltre che come sede degli uffici di curia e del seminario diocesano.
Qualcosa del superfluo era perduto per sempre ma non l'eredità più preziosa di Benedetto,  cioè  la  comunità  monastica, ultimo anello vivente di una tradizione plurisecolare.
Cinque anni prima - nel 1863 - quasi profeticamente il cassinese e storico Luigi Tosti, indirizzandosi allo statista inglese William Gladstone non temeva di scrivere:  "Nuove leggi approverà il nostro Parlamento intorno ai conventi e alla incamerazione dei beni ecclesiastici. I monaci se ne vanno per trasformarsi, non per morire. Montecassino rimarrà in piedi:  ma il suo patrimonio anderà in mano del fisco. Questa Badia rimarrà come l'albero di un vascello naufragato, a segnale di una grande sommersione e di una più grande risurrezione. I monaci sono figli del sentimento e non della ragione cristiana:  il sentimento è eterno".
Parole che riflettono senza dubbio un animo romantico, ma che ci riportano anche con crudo realismo alla vera situazione non solo di Montecassino, ma dell'intera congregazione, essa stessa nei suoi resti identificabile come l'albero ancora eretto di una nave ormai naufragata, dove si contano, per ripetere il titolo di un libro di Primo Levi, "i sommersi e i salvati".




(©L'Osservatore Romano - 17 dicembre 2008)

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