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Stiamo salvando il mondo dalla sicura catastrofe del "buco nell'ozono"

Ultimo Aggiornamento: 24/12/2008 18:30
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17/12/2008 09:34

Aperta a Sirte, in Libia, la conferenza internazionale organizzata dalla Fao sulle sfide poste dal cambiamento climatico alla gestione dell'acqua

L'irrigazione è decisiva
per sconfiggere la fame in Africa


Tripoli, 16. L'Africa sarà il centro della cosiddetta rivoluzione blu, un programma ventennale che prevede investimenti per 65 miliardi di dollari, con l'obiettivo di realizzare infrastrutture per l'irrigazione e valorizzare risorse idriche finora inutilizzate. Lo ha annunciato Jacques Diouf, il direttore generale della Fao, l'agenzia dell'Onu per l'alimentazione e l'agricoltura, aprendo ieri a Sirte, in Libia, la conferenza internazionale "Acqua per l'agricoltura e l'energia in Africa:  le sfide del cambiamento climatico". La conferenza di Sirte, alla quale partecipano i rappresentanti dei 53 Paesi africani, si concluderà giovedì 18 dicembre. La conferenza è organizzata dalla Fao, come presidente di turno del programma United Nations Water (un meccanismo che coordina le attività delle agenzie dell'Onu relative all'acqua) insieme al Governo libico e in collaborazione con Unione africana, Consiglio dei ministri africani per lo sviluppo dell'acqua (Amcow), Banca per lo sviluppo africano e Commissione economica per l'Africa. 
Il cambiamento climatico è il perno intorno al quale ruotano i provvedimenti previsti nel programma. La Fao prevede che l'Africa subsahariana, la zona con il tasso di malnutrizione più alto del mondo, ne verrà duramente colpita e sarà necessario costruire infrastrutture per l'irrigazione e centrali idroelettriche. Con una popolazione che per il 2050 raggiungerà i due miliardi di persone, l'Africa dovrà essere in grado di triplicare la propria produzione alimentare.
La conferenza punta a raggiungere conclusioni concrete e passare dalle parole ai fatti. È la prima volta che sono stati preparati documenti di sintesi a livello nazionale sugli investimenti per singolo Paese, basati su valutazioni di breve, medio e lungo periodo che prendono in esame gli investimenti necessari, dal controllo dell'acqua a livello di villaggio, a sistemi di irrigazione di vasta portata che utilizzino i bacini dei fiumi più importanti, sia per l'agricoltura sia per la generazione di energia elettrica.
Parlando dell'attuale crisi finanziaria, economica e alimentare mondiale, Diouf ha sottolineato che "la promozione della produzione agricola dei Paesi poveri è la sola soluzione possibile e duratura per combattere la fame. Dobbiamo dunque investire maggiormente in agricoltura". Si prevede che a conclusione della conferenza di Sirte i delegati adottino una Dichiarazione congiunta per promuovere lo sviluppo delle risorse idriche a livello nazionale, regionale e continentale, e riuscire a sfruttare a pieno le potenzialità del settore agricolo ed energetico del continente per assicurare la sicurezza alimentare e soddisfare il crescente fabbisogno alimentare ed energetico.
Diouf è intervenuto anche sul sistema di commercio internazionale, auspicando che in futuro si possano concepire regole che diano un regime di commercio "non solo libero ma anche equo". Per questo, Diouf ha sollecitato l'organizzazione di un vertice internazionale, osservando che "è essenziale migliorare le condizioni in cui gli agricoltori lavorano e l'attuale situazione del commercio internazionale". Il primo provvedimento auspicato da Diouf dovrebbe essere l'istituzione di un fondo di risposta rapida, per riavviare la produzione agricola a livello locale in caso di crisi, in particolare nei Paesi a basso reddito fortemente dipendenti dalle importazioni alimentari.
Nelle ore immediatamente precedenti l'apertura della conferenza a Sirte, la Fao aveva diffuso anche un nuovo rapporto sull'attuale situazione della coltivazione delle patate nel mondo (il 2008 era stato proclamato anno internazionale della patata, n.d.r.). Nel rapporto New light on a hidden treasure (Nuova luce su un tesoro nascosto) si sostiene che l'incremento della produzione mondiale di patate nei Paesi in via di sviluppo potrebbe subire una battuta d'arresto se la crisi economica mondiale ridurrà gli investimenti, il commercio e l'accesso al credito per i produttori. A giudizio della Fao, si tratta di una minaccia inquietante, in un momento in cui la patata è diventata un alimento di base importante e rappresenta per molti Paesi in via di sviluppo una produzione commerciale particolarmente lucrativa.
Secondo le più recenti statistiche della Fao, contenute nel rapporto, la patata è la principale coltivazione non cerealicola al mondo, con una produzione totale nel 2007 di 325 milioni di tonnellate, di cui più della metà realizzata in Paesi in via di sviluppo. La Cina è il principale produttore mondiale di patate, mentre Bangladesh, India e Iran sono oggi tra i maggiori consumatori al mondo.
Il rapporto avverte che "si stanno addensando scure nubi sulle previsioni per l'anno venturo". Il rallentamento dell'economia mondiale minaccia di ridurre i flussi di investimenti e di aiuti allo sviluppo nei Paesi poveri, compreso il sostegno all'agricoltura che ha aiutato molti Paesi a rafforzare la produzione. Le nazioni più ricche potrebbero essere tentate di alzare le barriere commerciali, che già applicano forti tariffe sulle importazioni, mentre la crisi del settore bancario lascerà molti contadini senza credito da investire nella produzione 2009. "Occorre con urgenza una nuova agenda per la ricerca e lo sviluppo della produzione della patata, allo scopo di garantire la sicurezza alimentare delle Nazioni povere e di offrire nuove opportunità di mercato ai produttori", ha dichiarato Nebambi Lutaladio, coordinatore del Segretariato Fao per l'anno internazionale della patata 2008.



(©L'Osservatore Romano - 17 dicembre 2008)
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Un mondo sempre più assetato


Il miglioramento delle pratiche agricole e una maggiore produttività dell'acqua sono condizioni indispensabili per proteggere le risorse e per soddisfare il fabbisogno globale di un mondo sempre più assetato e più affamato. L'accesso all'acqua resta strettamente connesso con il raggiungimento della maggior parte degli obiettivi di sviluppo del millennio.
Anche con un aumento di produttività delle risorse idriche, si stima che entro il 2030 dovrà destinarsi all'agricoltura un 14 per cento in più d'acqua per riuscire a ottenere quell'incremento del 55 per cento di produzione alimentare necessario a sfamare quanti oggi non hanno cibo e a compensare il previsto aumento della popolazione dai circa sei miliardi e mezzo di persone attuali a oltre otto miliardi. Sulle misure da adottare per un uso più efficace delle risorse idriche in agricoltura, nei centri urbani e nell'industria, le opinioni discordano.
Paesi molto diversi tra loro si sono orientati verso programmi d'irrigazione su piccola scala. Da parte sua, la Fao ha sostenuto programmi interregionali per la gestione di bacini fluviali condivisi, ad esempio il coordinamento delle attività di tutti i Paesi attraversati dal Nilo.



(©L'Osservatore Romano - 17 dicembre 2008)
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Restano divergenze con gli Stati Uniti sul progetto di scudo antimissile da installare nell'Europa dell'est

La Russia soddisfatta per i risultati
dei negoziati sul disarmo strategico


Mosca, 16. Restano le divergenze tra Mosca e Washington dopo il nuovo round di consultazioni russo-americane sul Trattato per la riduzione delle armi nucleari strategiche (Start-1) e sul progetto statunitense di scudo antimissile da installare nell'Europa dell'est. "Non si è riusciti a far avvicinare i nostri approcci ai problemi chiave, ma questo non era nelle attese", ha commentato il vice ministro degli Esteri, Serghiei Riabkov, dicendosi comunque "soddisfatto dei risultati".
In ogni caso, ora Mosca attende la nuova presidenza di Barack Obama per una possibile svolta:  lo stesso Riabkov ha sottolineato che con la consultazione di ieri "si è messo un punto finale al dialogo con l'Amministrazione uscente" e ha espresso la speranza che il dialogo prosegua con la nuova Amministrazione americana. 
È durato alcune ore a Mosca il nuovo round di consultazioni russo-americane sul Trattato Start-1, che scade a fine 2009, e sul progetto statunitense di difesa antimissile (il cosiddetto scudo spaziale) da installare in Polonia e nella Repubblica Ceca. La delegazione statunitense era guidata da John Rood, incaricato del controllo sugli armamenti e della sicurezza internazionale in seno al dipartimento di Stato. Il vice ministro degli Esteri Riabkov, dalle colonne del quotidiano "Kommersant", a proposito dello Start-1, aveva affermato - prima dell'incontro a Mosca - che "ci sono possibilità che un nuovo documento sia adottato entro dicembre 2009". "Sarà più duro mettersi d'accordo sullo scudo antimissile", aveva aggiunto il vice ministro degli Esteri russo.
"Questo nuovo trattato contribuirà a formulare un'agenda positiva nelle relazioni bilaterali. Penso che il lavoro subirà un'accelerazione con il cambiamento di amministrazione", aveva inoltre sottolineato Riabkov ribadendo che le questioni relative agli armamenti devono essere affrontate tutte insieme.
Il Trattato per la riduzione delle armi nucleari strategiche era stato firmato dai due Paesi nel luglio del 1991 e li impegnava a ridurre il numero dei loro missili e bombardieri strategici di 1.600 unità ognuno. Il tetto è stato raggiunto, come previsto dal Trattato Start-1, nel dicembre del 2001.
Appare però chiaro dai negoziati che si sono svolti a Mosca tra la delegazione russa e quella statunitense che sulla questione più controversa, come lo scudo antimissile, il Cremlino aspetta l'insediamento, il prossimo 20 gennaio, del presidente eletto Obama.
Il progetto di difesa antimissile, che l'Amministrazione di George W. Bush vuole creare in Europa prevede l'installazione di una stazione radar nella Repubblica Ceca e di una batteria di dieci missili intercettatori in Polonia. L'obiettivo di Washington è di individuare eventuali missili intercontinentali - lanciati da Iran o Corea del Nord in fase di spinta iniziale e di abbatterli prima che possano raggiungere l'Europa e gli Stati Uniti. Il radar, che estenderà a tutto il Vicino Oriente la copertura di rilevamento statunitense, ha già avuto il via libera da Praga e da Varsavia. Gli intercettatori da dispiegare in alcuni silos sotterranei in Polonia avranno una gittata di tremila chilometri. I lavori dovrebbero iniziare nel 2009 ed essere ultimati tra il 2011 e il 2013.
Il progetto - nonostante le assicurazioni da parte di Washington e l'offerta di cooperazione - è osteggiato dalla Russia. Il Cremlino vede l'installazione di uno scudo antimissile ai suoi confini come una minaccia diretta al proprio armamento missilistico in grado di alterare l'equilibrio dei deterrenti che dai tempi della Guerra Fredda hanno garantito la pace.



(©L'Osservatore Romano - 17 dicembre 2008)
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Tra bene pubblico e controllo privato

La gestione dell'acqua richiede
scelte strategiche


di Stefania Schipani

L'acqua è uno dei beni pubblici più importanti per la sopravvivenza dell'intera umanità. L'ultimo rapporto fornito nel corso della Giornata mondiale dell'alimentazione organizzata dalla Fao, dall'Oms e dall'Efsa sottolinea che le persone in zone povere di acqua potranno aumentare fra 16 e 44 milioni entro il 2080. Anche in Italia sono a rischio regioni come Puglia, Basilicata, Sicilia e Sardegna. In tutto il mondo le cifre dei danni alla salute dovuti alla penuria di acqua potabile sono spaventose:  annualmente, secondo l'Unicef, circa tre milioni e mezzo di persone, in gran parte bambini sotto i 5 anni, muoiono per malattie infettive legate alla mancanza di accesso all'acqua. La funzione dell'acqua è inoltre strategica per l'equilibrio dell'ecosistema e per la sostenibilità dello sviluppo in generale.
La modalità di gestione delle risorse idriche richiede dunque un'attenzione particolare da parte delle autorità nazionali e locali per il significato e le implicazioni che l'uso dell'acqua ha nella vita umana. Movimenti spontanei di autorità locali, cittadini ed esperti, e convegni di carattere sociale e scientifico, anche in Italia, spingono a una riflessione più accurata sul tema. In particolare uno degli aspetti più controversi è rappresentato dalla gestione in mano pubblica o privata della risorsa acqua:  se è vero che la gestione dei servizi idrici richiede efficienza produttiva, è anche vero che l'affidamento della gestione a società private o a enti pubblici presuppone una valutazione diversa dell'acqua da sfruttare come risorsa economica o da utilizzare principalmente come bene comune. Qualunque sia il tipo di gestione prescelto è comunque fondamentale che le autorità competenti effettuino un continuo monitoraggio affinché siano sempre garantiti il contenimento delle tariffe, accessibili per tutti, la buona manutenzione degli impianti e il controllo degli sprechi, evitando che il rischio di una privatizzazione dei profitti e di una pubblicizzazione delle perdite ricada sugli utenti. Le scelte intraprese dalle autorità di diversi Paesi negli ultimi tempi vanno in direzioni diverse.
Riguardo all'Europa è da segnalare la recente decisione del sindaco di Parigi di non rinnovare, alla scadenza del 31 dicembre 2009, i contratti di gestione dei servizi idrici con le società multinazionali incaricate, in particolare Suez e Veolia, rinunciando alla privatizzazione effettuata nel 1984 per una gestione di tipo municipalizzato. Scelta analoga è stata intrapresa da altre comunità francesi quali Bordeaux, Lille, Lione, Tolosa, orientate verso una gestione pubblica dei servizi idrici. Prevale la gestione pubblica dei servizi idrici anche in molte città dell'Austria, del Belgio, della Spagna, dell'Olanda e della Svizzera. Il servizio idrico di Londra è invece gestito da società private. In Italia, nonostante la presenza di diverse gestioni locali pubbliche, è da segnalare l'approvazione, avvenuta lo scorso 6 agosto 2008, della legge di conversione numero 133 con cui si disciplina l'affidamento e la gestione dei servizi pubblici locali considerati di rilevanza economica, inclusi i servizi idrici, a favore di imprenditori o di società mediante procedure competitive a evidenza pubblica. Ferma restando la proprietà pubblica delle reti, e pur prevedendo specifiche deroghe, la legge sostanzialmente regola la gestione privata del servizio idrico.
In numerosi Paesi dell'America Latina, fra i quali Bolivia, Nicaragua, Ecuador, Colombia, negli ultimi anni si è fortemente intensificato il movimento popolare che sta riportando verso la gestione pubblica del servizio idrico dopo anni di privatizzazione, sancendo anche costituzionalmente il principio dell'acqua come bene dell'intera popolazione.
C'è da osservare che generalmente i problemi legati all'acqua non sono dovuti a una scarsità cronica dei terreni, ma soprattutto a una cattiva manutenzione degli impianti che determina perdite, sprechi e uno sfruttamento eccessivo della risorsa. Il miglioramento delle infrastrutture richiede ingenti investimenti, a livello mondiale occorrerebbero oltre 100 miliardi di dollari annui per rendere adeguati i sistemi delle fognature, degli acquedotti, dei depuratori e degli altri impianti idrici, risorse finanziarie che necessariamente vengono poste a carico della collettività nel suo insieme. La gestione dell'acqua sia a livello locale sia a livello mondiale dovrebbe essere svolta sempre in un'ottica di cooperazione fra territori diversi nel rispetto di uno degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio delle Nazioni Unite, che è stato fissato nel 2000 ma che è ancora lontano dalla realizzazione:  dimezzare, entro il 2015, la percentuale di persone che non dispongono di acqua potabile sicura e a tariffe accessibili e di servizi igienico-sanitari di base, prima di giungere all'accesso universale all'acqua, che è e deve rimanere un diritto di tutti.



(©L'Osservatore Romano - 17 dicembre 2008)
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Vaste inondazioni
in Colombia


Bogotá, 16. In Colombia, le inondazioni legate alle stagioni delle piogge hanno causato 153 morti e 1,5 milioni di sinistrati dall'inizio dell'anno. Lo ha reso noto la Protezione civile colombiana, precisando che 86 persone sono morte nel corso della prima stagione delle piogge - tra i mesi di marzo e di giugno - e altre 67 tra ottobre e la metà di dicembre.
E in queste ultime ore, lo Stato brasiliano di Santa Catarina è stato interessato da piogge torrenziali, che hanno già causato la morte di 117 persone. Oltre alle vittime accertate, ci sono da segnalare decine di dispersi. A causa delle forti piogge, i soccorsi sono molto difficili. Quasi tutte le strade dello Stato di Santa Catarina sono infatti impraticabili e i soccorsi possono giungere solo in elicottero (quando il maltempo permette i voli) e con le moto d'acqua. In molte città e cittadine colpite dal maltempo è in vigore il coprifuoco, per evitare i saccheggi a supermercati e farmacie da parte della popolazione affamata e a rischio di epidemie, in particolare la leptospirosi. Il presidente della Repubblica, Luíz Inácio Lula da Silva, ha fatto intervenire l'esercito e il ministero della Sanità ha già distribuito oltre dieci tonnellate di farmaci e vaccini. Ma le condizioni sono molto difficili anche per i soccorritori. Diverse aree sono tuttora isolate, con centinaia di persone sui tetti delle abitazioni in attesa di aiuto.



(©L'Osservatore Romano - 17 dicembre 2008)




Intervento dell'episcopato giapponese

La crisi economica
e il rispetto dei più deboli


Tokyo, 16. La miseria economica è una minaccia alla pace mondiale e la rigida applicazione, senza alcuna regola morale, delle leggi di mercato è una delle principali cause di umiliazione della dignità umana. È quanto si legge nel messaggio intitolato "Rispetto dei diritti umani di tutti" che l'episcopato giapponese ha diffuso in occasione del sessantesimo anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo. Nel documento i pastori della piccola comunità del Sol levante - i cattolici sono solo l0 0,5 per cento della popolazione - sottolineano l'urgenza di garantire a tutti, tanto più nel clima d'incertezza derivante dalla crisi economica mondiale, l'applicazione dei diritti umani, liberando le società e i popoli dalla miseria.
In tempi di crisi - che è in primo luogo di ordine morale - la Conferenza episcopale giapponese critica apertamente "il fondamentalismo del mercato", e chiede a tutti, "individui, imprese e nazioni" di non ricercare solo il proprio interesse, assicurando invece il diritto alla vita di tutti. "Non c'è tempo da perdere", avvertono i vescovi, se si vuole garantire la pace nel mondo. 
L'intervento dell'episcopato nipponico richiama alla memoria un altro messaggio, altrettanto solenne e programmatico, che gli stessi vescovi pubblicarono nel 1995, in occasione del cinquantesimo anniversario della fine della seconda guerra mondiale, dal titolo "Risoluzione per la Pace". In quel testo i presuli invitarono a una coraggiosa purificazione della memoria, riconoscendo come la Chiesa cattolica in Giappone, pur tra molti meriti, fosse sostanzialmente "venuta meno alla coscienza del ruolo profetico che avrebbe dovuto adempiere per proteggere la vita umana e compiere la volontà di Dio" e invocarono "il perdono di Dio e della gente che aveva dovuto sopportare immense sofferenze durante la guerra".
Se tredici anni fa il messaggio dei vescovi si presentò come una riflessione sulle responsabilità del passato, quello odierno ha invece di mira le responsabilità verso il futuro. Tuttavia la cupa immagine della guerra, evento sconvolgente e tragico che manda in frantumi i diritti umani, sembra essere il tratto distintivo che collega i due documenti. Nell'introduzione al nuovo messaggio si legge infatti che l'assemblea generale delle Nazioni Unite "ha adottato la Dichiarazione sui diritti umani dopo aver riflettuto sul grande numero di vite umane distrutte tra le due guerre mondiali".
Certamente la guerra può scuotere le coscienze, ma non ha il potere di rinnovarle. Per questo con estremo realismo i vescovi continuano dicendo che "i diritti umani sono violati in Patria e all'estero anche ora dopo 60 anni dall'adozione di questa dichiarazione". Su questa consapevolezza fa perno il documento che mira ad indicare ai cattolici e, almeno indirettamente, alla società giapponese, la via da percorrere nel prossimo futuro.
Richiamato l'articolo 1 della Dichiarazione, laddove si afferma che "tutti gli esseri umani nascono liberi e uguali in dignità e diritti", i presuli giapponesi ne indicano con chiarezza il principio teologico:  "Basandoci sulla Bibbia noi crediamo che Dio crea ciascuna persona umana a sua immagine e che la dignità degli essere umani è donata da Dio - non creata dalla società umana - è universale e nessuno può violarla".
Tuttavia sarebbe un atteggiamento sicuramente ingeneroso affermare che la Dichiarazione dell'Onu è finora rimasta lettera morta. Negli ultimi 60 anni - viene riconosciuto - ci sono stati sforzi di molte persone per proteggere e promuovere i diritti umani. Anche in Giappone, non meno che in altri Paesi dell'occidente. Così - osservano i vescovi - se la miseria economica è una della cause principali della violazione della dignità di milioni di esseri umani, non si può non riconoscere che il Giappone sia stato all'avanguardia nel debellarla in Asia e in Africa.
Ma è un fatto - aggiungono ancora i presuli citando la Sollicitudo rei socialis di Giovanni Paolo ii - che "l'ineguale distribuzione dei mezzi di sussistenza, e, conseguentemente, l'ineguale distribuzione dei benefici che ne derivano ha ampliato le differenze" tra nazioni ricche e i popoli poveri. I vescovi giapponesi lo riconoscono e identificano la causa di tale situazione in quell'ideologia che pervade il mondo moderno e che essi chiamano "fondamentalismo di mercato".
Proprio l'impietosa applicazione di questa logica - osservano - "ha prodotto gravi danni come il deterioramento dell'ambiente e il cambiamento del clima con le conseguenti siccità e inondazioni che hanno ostacolato la produzione di cibo". Così come "l'aumento dei prezzi dei generi alimentari e del combustibile, conseguenza delle leggi di un mercato senz'anima ha reso ancora più miserabile la condizione di folle di poveri in tutte le parti del mondo mettendo a repentaglio il diritto fondamentale della loro vita".
I vescovi giapponesi - ponendosi nel solco del recente discorso fatto da Benedetto XVI alle Nazioni Unite - affermano con chiarezza che "se gli individui, le imprese e le nazioni continuano a ricercare i propri interessi la dignità umana sarà calpestata e il mondo diventerà un luogo ancor più violento e deforme dove le vittime degli stenti e della disperazione, la cui dignità umana è violata impunemente, diventeranno facile preda del richiamo della violenza e allora potranno diventare essi stessi violatori della pace". Dunque:  "Non c'è tempo da perdere". È questa l'espressione-chiave con la quale i vescovi concludono l'analisi sottolineando così l'urgenza di rispondere alla crisi. "Se non facciamo nostro il punto di vista di coloro che sono marginalizzati - ammoniscono - noi, anche senza intenzioni maliziose, finiamo per metterci dalla parte di coloro che dicono che un certo grado di violazioni dei diritti umani è inevitabile". E qui i vescovi sottolineano con limpida trasparenza che la crisi non è prima di tutto strutturale, bensì morale. Richiamando il pensiero di Giovanni Paolo ii ricordano che "ogni offesa dei diritti umani della persona è un'offesa contro l'umanità in se stessa". In una parola:  ciascuno è chiamato a essere responsabile di tutti. E l'intervento dei vescovi - indirizzato in primo luogo ai laici cattolici - si rivolge in maniera significativa anche all'intera società giapponese. Rappresenta, anzi, la prima tappa nel cammino di rinnovata evangelizzazione avviato nel Paese dopo la recente beatificazione dei 188 martiri giapponesi che ha richiamato l'attenzione dell'opinione pubblica sulla presenza e sul contributo della comunità cattolica nella società del Sol levante.



(©L'Osservatore Romano - 17 dicembre 2008)
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