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Benedetto XVI

Ultimo Aggiornamento: 10/06/2009 09:25
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21/12/2008 12:24

Da: RaiNews24.it

Roma | 20 dicembre 2008
Benedetto XVI : è necessario il dialogo tra scienza e fede
Benedetto XVI
Benedetto XVI

E' necessario il dialogo fra scienza e fede. Ne è convinto il Papa che ritiene come sia
possibile "comprendere, spiegare e difendere le verità della fede alla luce della ragione umana" solo ricercando la "consonanza di tutte le verità, naturali e soprannaturali, che promanano da
un'unica e medesima fonte". Benedetto XVI lo scrive in una lettera per il settimo centenario della morte del grande filosofo e teologo francescano scozzese Giovanni Duns Scoto.

"Dopo aver provato con vari argomenti, tratti dalla ragione teologica, il fatto stesso della preservazione della beata vergine Maria dal peccato originale - sottolinea Ratzinger - Duns
Scoto era assolutamente pronto anche a rigettare questa persuasione, qualora fosse risultato che essa non fosse in sintonia con l'autorità della Chiesa". Per il Pontefice, Duns Scoto, ha saputo coniugare "la pietà con la ricerca scientifica" e cosi' "con il suo raffinato ingegno" è penetrato "nei segreti della verità naturale e rivelata e ne ha ricavato una dottrina
tale da essere chiamato 'Dottore Sottile', divenendo maestro e guida della scuola francescana, luce ed esempio a tutto il popolo cristiano".




Da: RaiNews24.it
Benedetto XVI parla all'Angelus

Dio nel genoma

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"Dio non vive in una splendida solitudine, ma è piuttosto fonte inesauribile di vita che incessantemente si dona e si comunica". Benedetto XVI ha voluto ricordarlo oggi ai 50 mila fedeli presenti in piazza San Pietro per la preghiera dell'Angelus.

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"Dio non vive in una splendida solitudine"

Roma, 07-06-2009

"La prova piu' forte che siamo fatti ad immagine della Trinita' e' questa: solo l'amore ci rende felici, percé viviamo per amare ed essere amati". Benedetto XVI ha voluto sottolinearlo prima di intonare l'Angelus.
"Usando un'analogia suggerita dalla biologia, diremmo - ha aggiunto - che l'essere umano porta nel proprio 'genoma' la traccia profonda della Trinita', di Dio-Amore".

"Quest'oggi - ha rilevato il Pontefice - contempliamo la Santissima Trinità così come ce l'ha fatta conoscere Gesù: Egli ci ha rivelato che Dio è amore 'non nell'unità di una sola persona, ma nella Trinita' di una sola sostanza'; è Creatore e Padre misericordioso; é Figlio Unigenito, eterna Sapienza incarnata, morto e risorto per noi; e' Spirito Santo che tutto muove, cosmo e storia, verso la piena ricapitolazione finale".
"Tre Persone - ha concluso - che sono un solo Dio perché il Padre é amore, il Figlio é amore, lo Spirito é amore. Dio é tutto e solo amore, amore purissimo, infinito ed eterno". "Dio non vive in una splendida solitudine, ma è piuttosto fonte inesauribile di vita che incessantemente si dona e si comunica". Benedetto XVI ha voluto ricordarlo oggi - festa della Santissima Trinità - ai 50 mila fedeli presenti in piazza San Pietro per la preghiera dell'Angelus.

Che Dio non sia chiuso in se stesso, ha osservato il Pontefice, "lo possiamo in qualche misura intuire osservando sia il macro-universo: la nostra terra, i pianeti, le stelle, le galassie; sia il micro-universo: le cellule, gli atomi, le particelle elementari".

"In tutto ciò che esiste - ha affermato - è impresso il 'nome' della Santissima Trinità, perché tutto proviene dall'amore, tende all'amore, e si muove spinto dall'amore, naturalmente con gradi diversi di consapevolezza e di libertà".




Lo Spirito e la Chiesa


È una lunga riflessione sulla fede cristiana - cioè sulla presenza dello Spirito di Dio e sulla responsabilità della Chiesa - il discorso di Benedetto XVI per gli auguri alla Curia romana. Proprio l'occasione del consueto incontro con i suoi collaboratori più vicini ha permesso al Papa di riflettere sull'anno che sta per concludersi. Le parole del vescovo di Roma non sono state però di circostanza, ma un vero e proprio contributo di riflessione di cui si dovrebbe tenere conto se si vuole davvero capire le intenzioni di Benedetto XVI e della sua Chiesa, magari anche per criticarle.
Questo invece non avviene sempre:  spesso anzi non c'è alcuna volontà di comprensione e si preferisce cogliere ogni occasione per polemiche tanto aspre quanto pregiudiziali, ma soprattutto prive di reale fondamento. Ma cosa vuole la Chiesa? Semplicemente quello che sempre ha cercato - questo è il senso della tradizione e della sua continuità, dalla presenza dell'apostolo Paolo agli insegnamenti dei Papi più recenti - e cioè permettere, certo con le sue imperfezioni umane, che la grazia di Dio "diventi sempre più visibile".
Per questo il vescovo di Roma parla e viaggia, per questo la Santa Sede e la Chiesa in diversi modi intervengono come "forza spirituale" che indica il cammino. Senza voler imporre nulla, ma proponendo e ragionando. Ed è singolare che un'istituzione in genere additata come macchina di potere oscurantista e spietata venga di frequente accusata - come avviene sulle questioni dell'origine e della fine della vita, dalle manipolazioni genetiche ai segni della morte - di essere dogmatica proprio nel momento in cui propone di discutere.
Benedetto XVI ha ricordato i suoi viaggi, la Giornata mondiale della gioventù e il sinodo sulla Parola di Dio:  episodi diversi ma legati tra loro dal fatto che la Chiesa vive anche oggi la presenza dello Spirito, come in quella Pentecoste di quasi venti secoli fa. Dio parla ed è presente anche oggi e la Chiesa vuole ascoltarlo e invitare ogni essere umano ad ascoltarlo, o almeno a prenderlo in considerazione. La fede - fondata sull'incarnazione del Figlio di Dio - ha però bisogno di vedere e di toccare. Ecco allora il senso vero della Giornata di Sydney:  non un festival rock intorno a un Papa star come vorrebbero anche "voci cattoliche", ma una celebrazione lungamente preparata e che è destinata a continuare; in definitiva un avvenimento in cui si prende sul serio la questione di Dio e la presenza dello Spirito creatore.
E l'aprirsi a Dio - o almeno alla sua possibilità, una possibilità che non è irragionevole - ha conseguenze:  sull'atteggiamento nei confronti della creazione e di una materia "strutturata in modo intelligente" e sulla necessità di una "ecologia dell'uomo". Questa non deriva da una "metafisica superata", ha affermato con nettezza Benedetto XVI, che ha spiegato ancora una volta come invece essa provenga da un ascolto del "linguaggio della creazione". Nel rifiuto dell'ideologia del gender che nega l'essere umano come uomo e donna, e nega dunque la sessualità. Sì, lo Spirito di Dio è entrato nella storia e offre la sua gioia. Sta a ogni essere umano porvi attenzione.

g. m. v.



(©L'Osservatore Romano - 22-23 dicembre 2008)




Quando un gesto di riconciliazione diventa caso mediatico

Un copione sbagliato


In scena è andato un copione sbagliato e così la revoca della scomunica ai vescovi ordinati nel 1988 è diventato un nuovo caso mediatico pieno di toni emotivi. Con tempismo frettoloso si è addossata a Benedetto XVI la colpa non solo di resa a posizioni anticonciliari, ma perfino, se non la connivenza, almeno l'imprudenza di sostenere tesi negazioniste sulla Shoah. Le parole del Papa ai vespri conclusivi della settimana di preghiera per l'unità dei cristiani e la sua riflessione alla preghiera dell'Angelus sono state una smentita a queste paure diffuse.
Benedetto XVI ha detto parole importanti garantendo che "gli anziani tra noi certamente non dimenticano" il primo annuncio del Concilio fatto da Giovanni XXIII "il 25 gennaio 1959, esattamente cinquant'anni or sono". Un gesto che oggi Papa Ratzinger definisce "provvida decisione" suggerita dallo Spirito Santo e che il nostro giornale non casualmente ha ricordato con enfasi proprio nel giorno della revoca della scomunica.
È in forza della convinzione nei confronti del concilio quale avvenimento ispirato dall'alto che si deve leggere il gesto di revoca della scomunica. La riforma del concilio non è ancora del tutto attuata, ma è ormai talmente consolidata nella Chiesa cattolica che non può essere messa in crisi da un magnanimo gesto di misericordia. Ispirato per di più al nuovo stile di Chiesa voluto dal concilio che preferisce la medicina della misericordia alla condanna.
La revoca che ha suscitato tanto allarme non conclude una vicenda dolorosa come lo scisma lefebvriano. Con essa il Papa sgombera il campo da possibili pretesti per infinite polemiche, entrando nel merito del vero problema:  l'accettazione piena del magistero, compreso ovviamente il concilio Vaticano II. Se infatti è vero che la Chiesa cattolica non nasce con il concilio, è vero altrettanto che anche la Chiesa rinnovata dal concilio non è un'altra Chiesa, ma la stessa Chiesa di Cristo, fondata sugli apostoli, garantita dal successore di Pietro e quindi parte viva della tradizione. Con l'annuncio di Papa Giovanni la tradizione certo non sparisce, ma continua ancora oggi nelle forme proprie di una pastorale e di un magistero aggiornati dall'ultimo grande concilio.
Pertanto appare un esercizio retorico, se non proprio offensivo, pensare che Benedetto XVI possa svendere anche in parte il concilio a chicchessia. Come retorico è il ricorrente chiedersi di alcuni se il Papa sia davvero convinto del cammino ecumenico e del dialogo con gli ebrei. Gli impegni strategici del suo pontificato sono sotto gli occhi di tutti e i singoli atti pastorali e di magistero procedono limpidamente nell'applicazione della strategia annunciata al momento della sua elezione. Egli persegue quel programma nella condivisione collegiale con l'episcopato degli atti più impegnativi. Il dialogo è parte costitutiva della Chiesa conciliare e Benedetto XVI ha ripetuto più volte, e di nuovo ora, che l'ecumenismo richiede la conversione di tutti - anche della Chiesa cattolica - a Cristo. In una Chiesa convertita "le diversità non saranno più ostacolo che ci separa, ma ricchezza nella molteplicità delle espressioni della fede comune".
La revoca della scomunica non è ancora la piena comunione. Il percorso di riconciliazione con i tradizionalisti è una scelta collegiale e già nota della  Chiesa  di  Roma  e  non  un gesto repentino e improvviso di Benedetto XVI. Dall'accettazione del concilio discende necessariamente anche una limpida posizione sul negazionismo. La dichiarazione Nostra aetate, che segna la più autorevole svolta cattolica nei confronti dell'ebraismo, deplora "gli odi, le persecuzioni e tutte le manifestazioni dell'antisemitismo, dirette contro gli ebrei in ogni tempo e da chiunque". Si tratta di un insegnamento non opinabile per un cattolico. Gli  ultimi  Papi,  compreso  Benedetto XVI, hanno esplicitato questo insegnamento. In decine di documenti, gesti e discorsi. Le recenti dichiarazioni negazioniste contraddicono questo insegnamento e sono pertanto gravissime e incresciose. Rilasciate prima del documento di revoca della scomunica, restano - come abbiamo già scritto - inaccettabili.

c. d. c.



(©L'Osservatore Romano - 26-27 gennaio 2009)





Quando la menzogna si copre del velo della storia

L'antisemitismo
unico movente dei negazionisti


di Anna Foa

Il negazionismo della Shoah non è un'interpretazione storiografica, non è una corrente interpretativa dello sterminio degli ebrei perpetrato dal nazismo, non è una forma sia pur radicale di revisionismo storico, e con esso non deve essere confuso. Il negazionismo è menzogna che si copre del velo della storia, che prende un'apparenza scientifica, oggettiva, per coprire la sua vera origine, il suo vero movente:  l'antisemitismo.
Un negazionista è anche antisemita. Ed è forse, in un mondo come quello occidentale in cui dichiararsi antisemiti non è tanto facile, l'unico antisemita chiaro e palese. L'odio antiebraico è all'origine di questa negazione della Shoah che inizia fin dai primi anni del dopoguerra, riallacciandosi idealmente al progetto stesso dei nazisti, quando coprivano le tracce dei campi di sterminio, ne radevano al suolo le camere a gas, e schernivano i deportati dicendo loro che se anche fossero riusciti a sopravvivere nessuno al mondo li avrebbe creduti. 
Il negazionismo attraversa gli schieramenti politici, non è solo legato all'estrema destra nazista, ma raccoglie tendenze diverse:  il pacifismo più estremo, l'antiamericanismo, l'ostilità alla modernità. Esso nasce in Francia alla fine degli anni Quaranta a opera di due personaggi, Maurice Bardèche e Paul Rassinier, l'uno fascista dichiarato, l'altro comunista. Dopo di allora, si sviluppa largamente, e i suoi sostenitori più noti sono il francese Robert Faurisson e l'inglese David Irving, nessuno dei due storico di professione.
I negazionisti sviluppano dei procedimenti assolutamente fuori dal comune nella loro negazione della realtà storica. Innanzitutto, considerano tutte le fonti ebraiche di qualunque genere inattendibili e menzognere. Tolte così di mezzo una buona parte dei testimoni, tutta la memorialistica espressa dai sopravvissuti ebrei e la storiografia opera di storici ebrei o presunti tali, i negazionisti si accingono a demolire il resto delle testimonianze, delle prove, dei documenti. Tutto ciò che è posteriore alla sconfitta del nazismo è per loro inaffidabile perché appartiene alla "verità dei vincitori". La storia della Shoah l'hanno fatta i vincitori, continuano instancabilmente a ripetere, mettendo in dubbio tutto quello che è emerso in sede giudiziaria, dal processo di Norimberga in poi:  frutto di pressioni, torture, violenze.
Resta però ancora una parte di documentazione da confutare, quella di parte nazista che precede il 1945. Qui, i negazionisti hanno scoperto che nessuna affermazione scritta dai nazisti dopo il 1943 può dichiararsi veritiera, perché a quell'epoca i nazisti cominciavano a perdere la guerra e avrebbero potuto fare affermazioni volte a compiacere i futuri vincitori. Et voilà, il gioco è fatto:  la Shoah non esiste!
Il negazionismo si applica in particolare a dimostrare l'inesistenza delle camere a gas, attraverso complessi ragionamenti tecnici:  non avrebbero potuto funzionare, avrebbero avuto bisogno di ciminiere altissime e via discorrendo:  è questa la tesi che ha dotato di notorietà uno pseudo-ingegnere, Fred Leuchter, e che domina nei siti negazionisti di internet.
Oggi, il negazionismo è considerato reato in molti Paesi d'Europa, anche se una parte dell'opinione pubblica rimane restia - come chi scrive - a trasformare, mettendoli in prigione, dei bugiardi in martiri. Non mancano poi sostenitori del negazionismo in funzione antiisraeliana. Bisogna però ripetere che dietro il negazionismo c'è un solo movente, un solo intento:  l'antisemitismo. Tutto il resto è menzogna.



(©L'Osservatore Romano - 26-27 gennaio 2009)






Nella basilica di San Paolo fuori le Mura il Papa ricorda il fondamentale contributo del Vaticano II all'ecumenismo

L'unità dei cristiani ha bisogno
di gesti coraggiosi di riconciliazione


La preghiera per l'unità "chiede sempre di essere comprovata da gesti coraggiosi di riconciliazione tra noi cristiani". Lo ha ricordato il Papa presiedendo domenica sera, 25 gennaio, nella basilica di San Paolo fuori le Mura, la celebrazione dei secondi Vespri della solennità della conversione dell'apostolo, a conclusione della settimana di preghiera per l'unità dei cristiani.

Cari fratelli e sorelle,
è grande ogni volta la gioia di ritrovarci presso il sepolcro dell'apostolo Paolo, nella memoria liturgica della sua Conversione, per concludere la Settimana di Preghiera per l'Unità dei Cristiani. Vi saluto tutti con affetto. In modo particolare saluto il Cardinale Cordero Lanza di Montezemolo, l'Abate e la Comunità dei monaci che ci ospitano. Saluto pure il Cardinale Kasper, Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani. Con lui saluto i Signori Cardinali presenti, i Vescovi e i Pastori delle diverse Chiese e Comunità ecclesiali, qui convenuti stasera. Una parola di speciale riconoscenza va a quanti hanno collaborato nella preparazione dei sussidi per la preghiera, vivendo in prima persona l'esercizio del riflettere e confrontarsi nell'ascolto gli uni degli altri e, tutti insieme, della Parola di Dio. 
La conversione di san Paolo ci offre il modello e ci indica la via per andare verso la piena unità. L'unità infatti richiede una conversione:  dalla divisione alla comunione, dall'unità ferita a quella risanata e piena. Questa conversione è dono di Cristo risorto, come avvenne per san Paolo. Lo abbiamo sentito dalle stesse parole dell'Apostolo nella lettura poc'anzi proclamata:  "Per grazia di Dio sono quello che sono" (1 Cor 15, 10). Lo stesso Signore, che chiamò Saulo sulla via di Damasco, si rivolge ai membri della sua Chiesa - che è una e santa - e chiamando ciascuno per nome domanda:  perché mi hai diviso? perché hai ferito l'unità del mio corpo? La conversione implica due dimensioni. Nel primo passo si conoscono e riconoscono nella luce di Cristo le colpe, e questo riconoscimento diventa dolore e pentimento, desiderio di un nuovo inizio. Nel secondo passo si riconosce che questo nuovo cammino non può venire da noi stessi. Consiste nel farsi conquistare da Cristo. Come dice san Paolo:  "... mi sforzo di correre per conquistarlo, perché anch'io sono stato conquistato da Gesù Cristo" (Fil 3, 12). La conversione esige il nostro sì, il mio "correre"; non è ultimamente un'attività mia, ma dono, un lasciarsi formare da Cristo; è morte e risurrezione. Perciò san Paolo non dice:  "Mi sono convertito", ma dice "sono morto" (Gal 2, 19), sono una nuova creatura. In realtà, la conversione di san Paolo non fu un passaggio dall'immoralità alla moralità - la sua moralità era alta -, da una fede sbagliata ad una fede corretta - la sua fede era vera, benché incompleta -, ma fu l'essere conquistato dall'amore di Cristo:  la rinuncia alla propria perfezione, fu l'umiltà di chi si mette senza riserva al servizio di Cristo per i fratelli. E solo in questa rinuncia a noi stessi, in questa conformità con Cristo possiamo essere uniti anche tra di noi, possiamo diventare "uno" in Cristo. È la comunione col Cristo risorto che ci dona l'unità.
Possiamo osservare un'interessante analogia con la dinamica della conversione di san Paolo anche meditando sul testo biblico del profeta Ezechiele (37, 15-28) prescelto quest'anno come base della nostra preghiera. In esso, infatti, viene presentato il gesto simbolico dei due legni riuniti in uno nella mano del profeta, che con questo gesto rappresenta l'azione futura di Dio. È la seconda parte del capitolo 37, che nella prima parte contiene la celebre visione delle ossa aride e della risurrezione d'Israele, operata dallo Spirito di Dio. Come non notare che il segno profetico della riunificazione del popolo d'Israele viene posto dopo il grande simbolo delle ossa aride vivificate dallo Spirito? Ne deriva uno schema teologico analogo a quello della conversione di san Paolo:  al primo posto sta la potenza di Dio, che col suo Spirito opera la risurrezione come una nuova creazione. Questo Dio, che è il Creatore ed è in grado di risuscitare i morti, è anche capace di ricondurre all'unità il popolo diviso in due. Paolo - come e più di Ezechiele - diventa strumento eletto della predicazione dell'unità conquistata da Gesù mediante la croce e la risurrezione:  l'unità tra i giudei e i pagani, per formare un solo popolo nuovo. La risurrezione di Cristo quindi estende il perimetro dell'unità:  non solo unità delle tribù di Israele, ma unità di ebrei e pagani (cfr. Ef 2; Gv 10, 16); unificazione dell'umanità dispersa dal peccato e ancor più unità di tutti i credenti in Cristo.
La scelta di questo brano del profeta Ezechiele la dobbiamo ai fratelli della Corea, i quali si sono sentiti fortemente interpellati da questa pagina biblica, sia in quanto coreani, sia in quanto cristiani. Nella divisione del popolo ebreo in due regni si sono rispecchiati come figli di un'unica terra, che le vicende politiche hanno separato, parte al nord e parte al sud. E questa loro esperienza umana li ha aiutati a comprendere meglio il dramma della divisione tra i cristiani. Ora, alla luce di questa Parola di Dio che i nostri fratelli coreani hanno scelto e proposto a tutti, emerge una verità piena di speranza:  Dio promette al suo popolo una nuova unità, che deve essere segno e strumento di riconciliazione e di pace anche sul piano storico, per tutte le nazioni. L'unità che Dio dona alla sua Chiesa, e per la quale noi preghiamo, è naturalmente la comunione in senso spirituale, nella fede e nella carità; ma noi sappiamo che questa unità in Cristo è fermento di fraternità anche sul piano sociale, nei rapporti tra le nazioni e per l'intera famiglia umana. È il lievito del Regno di Dio che fa crescere tutta la pasta (cfr. Mt 13, 33). In questo senso, la preghiera che eleviamo in questi giorni, riferendoci alla profezia di Ezechiele, si è fatta anche intercessione per le diverse situazioni di conflitto che al presente affliggono l'umanità. Là dove le parole umane diventano impotenti, perché prevale il tragico rumore della violenza e delle armi, la forza profetica della Parola di Dio non viene meno e ci ripete che la pace è possibile, e che dobbiamo essere noi strumenti di riconciliazione e di pace. Perciò la nostra preghiera per l'unità e per la pace chiede sempre di essere comprovata da gesti coraggiosi di riconciliazione tra noi cristiani. Penso ancora alla Terra Santa:  quanto è importante che i fedeli che vivono là, come pure i pellegrini che vi si recano, offrano a tutti la testimonianza che la diversità dei riti e delle tradizioni non dovrebbe costituire un ostacolo al mutuo rispetto e alla carità fraterna. Nelle diversità legittime di tradizioni diverse dobbiamo cercare l'unità nella fede, nel nostro "sì" fondamentale a Cristo e alla sua unica Chiesa. E così le diversità non saranno più ostacolo che ci separa, ma ricchezza nella molteplicità delle espressioni della fede comune.
Vorrei concludere questa mia riflessione facendo riferimento ad un avvenimento che i più anziani tra noi certamente non dimenticano. Il 25 gennaio del 1959, esattamente cinquant'anni or sono, il beato Papa Giovanni XXIII manifestò per la prima volta in questo luogo la sua volontà di convocare "un Concilio ecumenico per la Chiesa universale" (AAS li [1959], p. 68). Fece questo annuncio ai Padri Cardinali, nella Sala capitolare del Monastero di San Paolo, dopo aver celebrato la Messa solenne nella Basilica. Da quella provvida decisione, suggerita al mio venerato Predecessore, secondo la sua ferma convinzione, dallo Spirito Santo, è derivato anche un fondamentale contributo all'ecumenismo, condensato nel Decreto Unitatis redintegratio. In esso, tra l'altro, si legge:  "Ecumenismo vero non c'è senza interiore conversione; poiché il desiderio dell'unità nasce e matura dal rinnovamento della mente (cfr. Ef 4, 23), dall'abnegazione di se stesso e dalla liberissima effusione della carità" (n. 7). L'atteggiamento di conversione interiore in Cristo, di rinnovamento spirituale, di accresciuta carità verso gli altri cristiani ha dato luogo ad una nuova situazione nelle relazioni ecumeniche. I frutti dei dialoghi teologici, con le loro convergenze e con la più precisa identificazione delle divergenze che ancora permangono, spingono a proseguire coraggiosamente in due direzioni:  nella ricezione di quanto positivamente è stato raggiunto e in un rinnovato impegno verso il futuro. Opportunamente il Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani, che ringrazio per il servizio che rende alla causa dell'unità di tutti i discepoli del Signore, ha recentemente riflettuto sulla ricezione e sul futuro del dialogo ecumenico. Tale riflessione, se da una parte vuole giustamente valorizzare quanto è stato acquisito, dall'altra intende trovare nuove vie per la continuazione delle relazioni fra le Chiese e Comunità ecclesiali nel contesto attuale. Rimane aperto davanti a noi l'orizzonte della piena unità. Si tratta di un compito arduo, ma entusiasmante per i cristiani che vogliono vivere in sintonia con la preghiera del Signore:  "che tutti siano uno, affinché il mondo creda" (Gv 17, 21). Il Concilio Vaticano II ci ha prospettato che "il santo proposito di riconciliare tutti i cristiani nell'unità della Chiesa di Cristo, una e unica, supera le forze e le doti umane" (UR, 24). Facendo affidamento sulla preghiera del Signore Gesù Cristo, e incoraggiati dai significativi passi compiuti dal movimento ecumenico, invochiamo con fede lo Spirito Santo perché continui ad illuminare e guidare il nostro cammino. Ci sproni e ci assista dal cielo l'apostolo Paolo, che tanto ha faticato e sofferto per l'unità del corpo mistico di Cristo; ci accompagni e ci sostenga la Beata Vergine Maria, Madre dell'unità della Chiesa.



(©L'Osservatore Romano - 26-27 gennaio 2009)
[Modificato da zsbc08 10/06/2009 09:25]
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