Politica sondaggista e partecipazione

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zsbc08
00martedì 24 marzo 2009 08:59
L’opinione

Le “caste” e cioè le cricche e sottocricche. Sono un bene o un male per la democrazia?

Politica sondaggista e partecipazione

La storia delle idee non è mai soltanto la storia delle idee, ma è anche la storia dell’evoluzione delle società e delle loro istituzioni. Qual’è la realtà della democrazia che ogni giorno possiamo osservare e studiare? C’è una legge che Michels chiamava “la ferrea legge dell’oligarchia”. Secondo Michels, cioè, la democrazia conduce inevitabilmente e necessariamente all’oligarchia (vista da lui come la negazione della democrazia), perché “una caratteristica essenziale di tutti gli aggregati umani è di creare cricche e sottocricche”. Questa legge, per Michels, è una legge sociologica e come tale sta al di là del bene e del male. Oggi, la “ferrea legge dell’oligarchia” è costantemente e implicitamente rispolverata da chi parla di “caste” come negazione della democrazia, con l’aggiunta di giudizi di valore, di diagnosi e di terapie etiche varie (e, quindi, non con argomentazioni scientifiche situate al di là del bene e del male, ma con argomentazioni “contaminate”). La legge di Michels, successivamente, fu corretta dagli “elitisti”, con argomentazioni che ancora oggi vengono usate per rispondere alle altre argomentazioni delle teorie della “casta” (o delle cricche e sottocricche). La legge sociologica di Michels conterrebbe, cioè, un errore laddove individua in qualsiasi separazione tra governanti e governati una negazione automatica della democrazia. Per gli “elitisti”, nella realtà sociologica di tutte le democrazie, la separazione tra governanti e governati è un dato di fatto del tutto normale ed ordinario. Tale separazione fa parte dell’essere scientificamente osservabile di ogni democrazia e non ne costituisce, invece, la negazione. Anzi “l’elemento distintivo e più prezioso della democrazia è la formazione di una èlite politica nella lotta competitiva per ottenere voti da un elettorato prevalentemente passivo” (Lipset), a causa della complessità sempre crescente del sistema e della “leggibilità” e comprensibilità sempre decrescente dello stesso. Il filo sottile che corre lungo tutte queste argomentazioni è il seguente: “La rivoluzione dei managers in politica non può alterare un dato imprescindibile, e cioè che devono essere i politici a prendere le decisioni politiche”. Tracciato in questo modo il recinto, possiamo tirare qualche conclusione (non tutte però). Le democrazie contemporanee sono estremamente complesse e nella loro recente evoluzione hanno dovuto registrare il superamento dell’antica divisione in tre poteri (legislativo, governo-esecutivo, giudiziario) in una molteplicità di poteri che ancora cercano un loro equilibrio di pesi e contrappesi. E’ dentro il perimetro incerto disegnato da questa ricerca di equilibrio tra poteri e tra tra pesi e contrappesi che le spinte oligarchiche hanno conquistato terreno facendo derivare dalla complessità del sistema la necessità di una gestione manageriale (estremamente elitista ed astratta) della stessa complessità. La gestione manageriale, estremamente elitista e di matrice economica, che ha condotto al prevalere dell’economia sulla politica, oggi, però, ha segnato il passo lasciando nuovamente campo quasi-libero (più libero di prima) alla politica. La politica e l’economia, cioè, oggi hanno ricominciato ad annusarsi a distanza ed a cercare di ridefinire i loro ruoli, le loro competenze, i loro limiti e il loro equilibrio. E’ questo lo stato dell’arte delle democrazie di oggi: “molteplicità di poteri forti alla ricerca di nuovi equilibri duraturi. E cioè molteplicità di idee forti che non sono soltanto idee forti, ma anche la storia futura dell’evoluzione delle società democratiche e delle loro istituzioni”. Un tempo potevamo partecipare alla vita politica del Paese attraverso l’iscrizione ad un partito ed attraverso la frequentazione di una sezione territoriale. Oggi l’unica forma di partecipazione possibile è la partecipazione alla “creazione” di idee forti nuove e la condivisione allargata ed aperta delle stesse. Idee e pragmatismo, comunque, e non ideologie, perché non è più tempo di ideologie e di dogmi. Ci sono partiti che hanno le idee molto chiare e partiti che, invece, hanno le idee molto confuse. Tutti i partiti, comunque, non possono non prendere in considerazione le idee forti che vengono dalla base (non a caso “orientano” le loro strategie comunicative mediante i sondaggi d’opinione). Questa è la nuova politica, una politica che mi piace definire “pragmaticamente creativa”.

 

- 20 marzo 2009 -                                                                                 Francesco Paolo Pinello

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