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remo bassini
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mo bassini
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Le bocciature a Primo Levi
Hai un manoscritto. E non sai dove sbattere la testa, perché ti dicono che no, non è pubblicabile.
Va bene tutto, allora, pur di vedere “vivere” quelle parole, che sono persone, storie di vita e di morte in un lager.
Non sono storie. Sono Storie.
E vuoi che vivano, tu, anche se sei un mite. Un insicuro?
«Non è mia intenzione dire che per scrivere un libro bisogna essere un “non scrittore”, ma semplicemente che io sono approdato a questa qualifica senza sceglierla. Io sono un chimico. Sono approdato alla qualifica di scrittore perché, catturato come partigiano, sono finto in un lager, come ebreo».
Sembrano, queste, le parole di uno che si sente un intruso. Pare voler dire, Primo Levi, scusate il disturbo, scusate se con Pavese e Fenoglio e Calvino e la Ginzburg ci sono anche io tra gli scaffali delle librerie, e nei cataloghi della casa editrice Einaudi.
Già, l’Einaudi. Che bocciò, impietosamente (la bocciatura di un manoscritto, seppur motivata, è sempre impietosa se vista con gli occhi dell’autore: si pensi a Morselli, oggi pubblicato da Adelphi, bocciato da Calvino), siamo nel 1947, «Se questo è un uomo».
Fu Natalia Ginzburg, è risaputo, a dire no al manoscritto. Eppure Natalia Ginzburg e Primo Levi, entrambi torinesi, entrambi ebrei, di sicuro si conoscevano (lo testimonia una celebre intervista di Philiph Rot, sulla New York Times Book Review nel 1986, a Levi che cita la Ginzuburg, come scrittrice, moglie di un suo caro amico).
Del resto Primo Levi non era certo una figura di spicco tra gli intellettuali torinesi.
Certo, era ebreo come tanti intellettuali legati ad Einaudi; ma era anche un chimico, che a scuola non si era affatto distinto (tanto da essere rimandato, e proprio in Italiano).
Ma non fu solo la Ginzburg a bocciare un manoscritto di Primo Levi. Nel 1986 anche Gallimard, lui l’editore in persona, disse di no alla traduzione in francese del libro «I sommersi e i salvati».
Era stato lo scrittore Ferdinando Camon, che era amico di Levi e che da Levi, dopo il suicidio, ricevette una lettera (Un inno alla vita, ricorda) a suggerire a Gallimard la lettura dei “I sommersi e i salvati”. Gallimard, ricorda Camon, dava in lettura libri e manoscritti a tre consulenti, che poi, un po’ come a scuola, davano un voto: da 1 a 3. Se il libro otteneva tre 3, veniva pubblicato. Se otteneva due 2, era bocciato. Se otteneva due 3 e un 2, decideva Gallimard, in persona. Non si sa che voti prese Primo Levi, non lo sa nemmeno Camon che scrive «Con mia enorme sorpresa, il libro di Levi, il suo capolavoro assoluto: “I sommersi e i salvati”, non era passato».
Primo Levi, di questa stroncatura, non seppe nulla: perché nel frattempo si era tolto la vita.
Camon si spinge oltre, oltre il racconto. E cerca una spiegazione a queste illustri bocciature. Dice che c’è un perché: «La risposta che mi viene è che c’è troppo in quelle opere».
Ma torniamo al 1947. Levi, reduce da Auschwitz, ha ricevuto il primo no da Einaudi.
La storia a questo punto è nota: «Se questo è un uomo» viene pubblicato dalla casa editrice De Silva, di Torino, ne vengono stampate 2500 copie, il venduto, forse anche grazie a una recensione di Calvino su L’Unità, è di 1500. E 11 anni dopo, nel 1958, Einaudi ci ripensa.
In realtà, prima ancora che il libro fosse dato alle stampe dalla De Silva, ora defunta, Levi consegnò il manoscritto a un suo caro amico, un ebreo comunista trasferitosi a Vercelli, Silvio Ortona, che pubblicò - lui per primo - «Se questo è un uomo» su un settimanale locale, L’Amico del Popolo, organo della Federazione comunista vercellese.
Il merito di questa scoperta è di due storici vercellesi: Bruno Ferrarotti e Franco Crosio. Sono loro che sfogliando le vecchie raccolte dell’Amico del Popolo si sono imbattutti prima in un poesia di Levi, che compare nel marzo del 1946 (Piedi piagati e terra maledetta/ lunga la schiera dei grigi mattini/ Fuma la Buna dai mille camini…) e poi, il 29 marzo 1947, nel primo capitolo di «Se questo è un uomo» che, però, Levi aveva titolato in altro modo: «Sul fondo». Sull’Amico del Popolo, per gentile concessione dell’autore, comparvero i primi cinque capitoli. Poi De Silva - un piccolo editore di allora: la storia si ripete insomma - vide in quel manoscritto quel che Einaudi non aveva visto. Succede, si sa.
Ma i primi veri editori di «Se questo è un uomo» erano stati i comunisti vercellesi.
I primi lettori dei celebri versi di Levi, impaginati in un riquadro, furono quindi operai e soprattutto mondine.
Accanto ai comunicati della Canera del Lavoro, all’elenco di scioperi e assemblee, un mattino - è il 31 maggio del 1947 - lessero:
Voi che siete sicuri/ nelle vostre tiepide case/ voi che trovate a sera/ il cibo caldo e visi amici:/ considerate se questo è un uomo….
rb
su Stilos
Questo articolo è stato pubblicato Mercoledì, 30 Maggio 2007 alle 15:02 e classificato in Senza Categoria. Puoi seguire i commenti a questo articolo tramite il feed RSS 2.0. Puoi inviare un commento, o fare un trackback dal tuo sito.