00 07/10/2008 11:49

Dal Corriere della Sera del 7 ottobre 2008

 

Addio all’impero dei sensi, adesso trionfa quello dei tasti, di Gillo Dorfles.

 

Da quale rubinetto uscirà l’acqua calda? E schiacciando quale manopola funzionerà la doccia? Un continuo, convulso, armeggiare tra bottoni, e tasti, di cui non si riesce ad afferrare la funzione. E che dire delle luci: tutte accese meno quella accanto al letto; oppure tutte spente meno quella accanto al letto; oppure tutte spente meno quella che non serve. Mentre una luminosità beffarda trapela comunque da un misterioso interstizio e alcune insistenti lampadine rosse non si riescono ad annullare se non mettendo davanti ad esse un mobile o un cuscino.

E questo non è che il minimo e più consueto supplizio per chi scenda in un albergo modernissimo e à la page.

Ma quanti altri e peggiori supplizi sono dovuti all’indispensabile uso dei nostri quotidiani “strumenti di lavoro”. Basta passare dal vecchio telefono fisso al cordless (“scordato” bisognerebbe dire), da un computer a un altro, e immediatamente nuove sigle, nuovi segni si impongono, ed è inutile, anzi, dannoso, inoltrarsi nella lettura dei relativi opuscoletti esplicativi. Per non parlare di quando il computer annulla tutto quanto si è scritto, invano salvaguardato dagli svariati “salva col nome”, “salva sul desktop”.

Ma nulla si salva, salvo la nostra memoria, che, lei, pure, spesso fa cilecca.

E ciò che rende ancora più sgradevole o umoristica la situazione è constatare come qualsiasi ragazzino, ancora alle elementari, sappia manovrare un telefonino, anche mai visto prima, come se da sempre l’avesse utilizzato; ma – quello che è ancora più sconvolgente – anche posto davanti a un “istrumento” mai visto prima, immediatamente prema il tasto giusto come se fosse un qualsiasi suo giocattolo.

Possibile che esista una Wahlverwandschaft: una affinità elettiva (non saprei come altro definirla, se non facendo ricorso al grande Goethe) tra la “Società dei tasti” e chi non abbia raggiunto i vent’anni? Ma questi tasti – questi segnali – hanno ben poco in comune con le antiche tastiere bianche e nere dei pianoforti o di altri strumenti, oppure con i vecchi cruscotti delle automobili d’un tempo. Giacché oggi un cruscotto che si rispetti avrà una serie di simulacri per ognuna delle svariate bocche d’aria, condizionata o meno; avrà i tasti del “navigatore” (che lo condurrà per vie traverse da cui è obbligato a uscire se vuole davvero raggiungere la meta), mentre soltanto premendo un altro tasto riuscirà a interrompere l’insopportabile suono cadenzato che avverte chi non ha agganciato la cintura.

Certo, un quoziente di automatismo gestuale può spiegare facilmente molti comportamenti positivi, lasciando soltanto agli individui non “automatizzati” di barcollare nel buio dei segnali e dei pulsanti.

Eppure, credo che non si possa giustificare a pieno un comportamento inefficiente solo con l’assenza d’una propria “disposizione d’animo” (anzi di sistema nervoso centrale e periferico).

Credo, cioè che l’avvento d’una società e d’una vita comunitaria che soggiaccia all’”impero dei tasti”, piuttosto che – come ai bei tempi antichi – all’impero dei sensi, sia l’emblema d’una resa al fatto di essere comandati anziché di comandare; all’essere succubi d’un volere alieno senza il quale non è più possibile procedere nel proprio cammino. Insomma di avere venduto, se non l’anima, la propria iniziativa a una coercizione di cui siamo vittime spesso inconsapevoli, ma comunque inesorabilmente partecipi.     
[Modificato da zsbc08 07/10/2008 12:04]