Trent'anni dopo la fine della dittatura franchista, che aveva elevato il cattolicesimo al rango di religione di Stato, un giudice del tribunale di Valladolid ha ordinato a una scuola pubblica della citta' settentrionale di rimuovere i crocifissi affissi alle pareti, malgrado la posizione contraria del consiglio scolastico.
Il giudice Alejandro Valentin ha deciso che la scuola pubblica Macias Picavea dovra' "ritirare i simboli religiosi dalle classi e dagli spazi comuni", accogliendo cosi' la richiesta del genitore di un alunno e di una associazione locale per la difesa della scuola laica. Il magistrato si e' basato sulla costituzione spagnola che garantisce "liberta' di religione e di culto", assicurando il carattere "laico e neutrale" dello Stato sulle questioni religiose.
I crocifissi erano presenti nella scuola dal 1930, e piu' volte il consiglio di istituto si era espresso contro la loro rimozione, dopo le prime richieste pervenute gia' nel 2005. E' la prima volta che la giustizia spagnola prende una decisione del genere, secondo l'associazione ricorrente.
Una questione simile fu affrontata a Jaen, in Andalusia, nel 2006, ma quella volta il governo regionale aveva preceduto il possibile intervento della giustizia facendo rimuovere di sua iniziativa i crocifissi da una scuola.
In Spagna la costituzione del 1978 assicura il carattere anticonfessionale dello Stato e delle sue istituzioni, ma tutti i nuovi capi di governo giurano fedelta' alla costituzione stessa davanti a un crocifisso.
"Mi sembra che il Crocifisso in una cultura come la nostra non vada a ferire nessuno, perché
il Crocifisso e' solo amore e pace" e la sentenza pronunciata ieri a Valladolid - che stabilisce che i crocifissi vanno tolti dalle aule scolastiche - "è stata un dispiacere". Questro il commento dell'arcivescovo di Valladolid, Braulio Rodríguez Plaza, ai microfoni del canale spagnolo della Radio Vaticana.
"In base a questa sentenza - osserva - qualunque segno religioso potrebbe essere cancellato e tolto in qualsiasi luogo, perché potrebbe ferire la suscettibilità e la sensibilità di molta gente. Allora faccio l'esempio di una città europea come Bruges, dove ci sono angoli, vie, incroci
in cui sono collocate tante piccole immagini della Vergine, di Cristo e non credo che la gente anche non religiosa, non cristiana, si dia pena per questo. Sono sicuro che mi diranno
che qui la questione è diversa… si tratta di un'aula, di una scuola dove stanno dei bambini… Allora, di questo passo, dovremo chiedere il permesso per dire 'io credo in Dio e in
nostro Signore Gesù Cristo'? Non lo so, se vogliamo arrivare a questo… Io voglio continuare a mostrare i simboli religiosi, perché mi pare che anche questo faccia parte della libertà religiosa a cui tutti teniamo".
La prolusione del cardinale Rouco Varela all'assemblea plenaria dei vescovi del Paese La Chiesa in Spagna chiama
alla riconciliazione e alla solidarietà
Madrid, 24. "La Chiesa in Spagna, unita in Cristo e in comunione con la Chiesa di Roma, è stata e sarà sempre intensamente missionaria. L'attuale intensificazione della comunicazione tra i popoli e tra le culture non può certo cedere il passo a una minore valorizzazione della novità della fede cristiana, al relativismo religioso e culturale. Anzi è uno stimolo a rinnovare l'impegno missionario che porta a tutta la famiglia umana la notizia e la presenza della salvezza". Lo ha sottolineato, oggi, l'arcivescovo di Madrid, il cardinale Antonio María Rouco Varela, presidente della Conferenza episcopale spagnola (Cee) nel discorso inaugurale della novantaduesima assemblea plenaria dei presuli, che si tiene presso la Casa della Chiesa di Madrid fino a venerdì 28 novembre. "Il documento che stiamo elaborando - ha detto il porporato - deve poter offrire quel discernimento necessario per leggere i segni dei tempi e per animare le nostre comunità all'impegno missionario, segno visibile e decisivo del vigore della fede e della profondità di testimonianza che l'evangelizzazione suscita in noi. La Parola, come ha ricordato il Sinodo dei vescovi, deve essere incarnata, senza riduzioni e compromessi, e portata in tutte le strade del mondo". "Le Sacre Scritture - ha spiegato il cardinale - sono il testimone, in forma scritta, della Parola divina, sono il memoriale canonico, storico e letterario che attesta l'evento della rivelazione creatrice e salvifica. Pertanto la Parola di Dio precede e supera la Bibbia. Non possiamo dire che il cristianesimo sia una "religione del libro". Al centro della nostra fede c'è la storia della salvezza e in particolare una persona: Gesù Cristo, Parola di Dio fatta carne, uomo, storia".
Riferendosi alla situazione sociale del Paese, il cardinale Rouco Varela ha rilevato che non sono pochi coloro i quali manifestano giustificata inquietudine per il pericolo di "un deterioramento d'una convivenza serena e riconciliata che siamo riusciti a logorare nella nostra società". La storia della Spagna degli ultimi due secoli - ha ricordato - è stata, per disgrazia, segnata da tensioni che più di una volta sono degenerate in contrasti fratricidi. L'ultimo e il più terribile di tutti negli anni Trenta, nel contesto di una situazione internazionale caratterizzata da ideologie totalitarie di diverso segno. "Grazie a Dio l'attuale situazione nazionale e internazionale non è la stessa. Però occorre sempre vigilare per evitare alla radice comportamenti, parole e strategie e tutto ciò che può dare adito a un confronto che può sfociare anche nella violenza". È necessario coltivare uno spirito di riconciliazione, di generoso sacrificio che caratterizza la vita sociale e politica del Paese. Si tratta di perseguire, senza rimozioni e codardie, "un'autentica e sana purificazione della memoria", fondata sugli alti ideali della giustizia, della libertà fino a quello evangelico del perdono e dell'amore fraterno. A tale cammino di riconciliazione tra le persone sono chiamate specialmente le giovani generazioni, che devono superare il pesante passato dimenticando rancori e contrasti.
(©L'Osservatore Romano - 24-25 novembre 2008)
Determinante l'opera dei missionari Una semplice croce
di Juan Manuel de Prada Un tribunale spagnolo ha appena emesso una sentenza con la quale si sollecitano i responsabili di una scuola pubblica a rimuovere i crocifissi dalle aule, adducendo come motivazione che la presenza di una semplice croce viola il "diritto fondamentale alla libertà religiosa e di culto". A nessuna persona in pieno possesso delle proprie facoltà sfugge che il segno della croce non viola nessun diritto fondamentale; tuttavia, da qualche tempo, l'invocazione di diritti e libertà si sta trasformando in Spagna in un pretesto giuridico che maschera un sentimento di odio antireligioso e di "cristofobia" - come in modo molto appropriato lo ha definito il cardinale primate Cañizares - sentimento che l'autorità avrebbe l'obbligo di perseguire, invece di concedergli una copertura giuridica. Da qualche tempo, in Spagna l'alone di odio attorno alla Chiesa di Dio - così definì Chesterton in L'uomo eterno quella "fosforescenza extraterrena" che, nei crepuscoli della storia, perseguita i cristiani - si è mascherato di giuridicità, sostituendo l'accanimento cruento di altre epoche non troppo lontane con un'apparenza più sibillina e asettica.
La visione di un crocifisso chi può offendere? Non, naturalmente, quanti non sono stati educati nel cristianesimo; poiché, per questi, un crocifisso sarà come il monolite che adoravano gli uomini delle caverne, una figura priva di significato religioso in cui, forse, scopriranno un significato storico. Non può esserlo neppure per quanti, educati nel cristianesimo, non professano però la fede cattolica; e oserei dire che, per questi ultimi, il crocifisso può riassumere le più nobili vocazioni dell'uomo: vocazione di dedizione e di carità, da un lato, vocazione di mistero e infinitezza, dall'altro. Nulla di offensivo, dunque. Il crocifisso, in definitiva, può offendere solo quanti vogliono - e in questo consiste in realtà il laicismo, per quanto si nasconda dietro alibi giuridici - che lo Stato diventi un nuovo dio, con potere assoluto sulle anime.
Che si giunga a considerare un crocifisso offensivo in Occidente si può solo interpretare come un sintomo allarmante di amnesia o necrosi culturale; o - così ha detto Benedetto XVI nel suo discorso di apertura del recente Sinodo - come una "perdita d'identità". Da qualche tempo, un impulso autodistruttivo si sta impossessando dell'Europa, trovando la sua espressione più triste e pervicace nell'ansia di cancellare dalla nostra memoria il lascito morale e culturale del cristianesimo; e in Spagna questo impulso autodistruttivo assume espressioni violente. Come gli scorpioni che si pungono con il proprio pungiglione e agonizzano vittime del loro veleno, si direbbe che noi europei abbiamo deciso di annichilirci, emarginando e dimenticando l'eredità storica che ci costituisce. S'inizia a confondere la sana laicità dello Stato con una belligeranza antireligiosa che cerca di negare all'uomo il suo vincolo con la trascendenza, che cerca di cancellare la nostra genealogia spirituale e culturale. L'Europa sembra aver dimenticato che la patria dell'uomo, come ci ha insegnato Maritain, è l'Assoluto.
Quando l'uomo viene esiliato da questa patria comune, quando gli viene strappata questa parte irrinunciabile di se stesso, lo si sta condannando allo sradicamento, alle intemperie, all'abbandono, alla disperazione; lo si sta relegando, in definitiva, alla condizione di triste materia.
Il fatto che questo impulso autodistruttivo giunga alle scuole ci pone dinanzi a una realtà paurosa. Il Crocifisso ci insegna che la morte non ha dominio sull'uomo, che il motivo del nostro cammino terreno non è altro che il trionfo della vita. Quando si sa questo, tutto il resto acquista significato. Tuttavia il laicismo che oggi trionfa in Spagna ci vuole sempre più orfani d'identità; e sa che quando noi spagnoli smetteremo di guardare a colui che è appeso a quel legno, avremo smesso di sapere chi siamo e saremo pronti a essere ciò che vogliono fare di noi. Il laicismo intende privare di "senso" la trasmissione culturale della conoscenza, trasformandola in un mero accumulo di dati sconnessi; e per questo si sforza di allontanare i crocifissi dalla contemplazione dei bambini, poiché alla luce del Crocifisso i pezzi della conoscenza si assemblano, formano un amalgama che nutre di significato la vita e la storia umana.
In quella semplice croce si riassume la storia del genere umano, con tutta la sua genealogia di debolezza e grandezza, gioia e dolore. In quella semplice croce vengono riassunte e denunciate tutte le barbarie che l'uomo ha perpetrato, dall'uccisione di Abele fino a uno qualsiasi dei massacri che oggi decimano l'umanità; in essa si plasma il nostro fecondo anelito di ribellarci contro la morte. In quella semplice croce si riassumono le due vocazioni più nobili dell'uomo: una vocazione di pietà e di donazione dinanzi alla sofferenza umana; e, insieme a essa, spiegandola, una vocazione di trascendenza che ci aiuta ogni giorno a risuscitare dalle macerie della nostra fragilità. Per venti secoli, il mistero della Croce è servito anche da gioiosa ispirazione alle più durature creazioni dell'arte e dell'intelletto; né Velázquez né Unamuno, per citare solo due figure spagnole che confluiscono dinanzi all'immagine del Crocifisso, sarebbero spiegabili senza tale mistero. Venti secoli di cultura occidentale si riassumono in questi due legni nudi: venti secoli di conquiste che nobilitano la storia umana; venti secoli agitati di crudeltà che un Dio che si immola per le sue creature ci invita a detestare. In quella semplice croce, equilibrio umano dei due comandamenti, vi è tutto ciò che siamo, tutto ciò a cui aneliamo essere, tutto ciò di cui ci vergogniamo di essere stati.
Al lascito che rende nobili e che è riassunto in quella semplice croce sta oggi rinunciando l'Europa; e la sentenza che ha appena emesso un tribunale spagnolo consacra giuridicamente la rinuncia di un'Europa disorientata, irrazionalmente in preda a un impulso di autodistruzione.
(©L'Osservatore Romano - 24-25 novembre 2008)