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Diecimila santini con una supplica a Papa Benedetto XVI: basta con l'ostensione della salma di Padre Pio

Ultimo Aggiornamento: 24/12/2008 17:30
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21/10/2008 15:53




Padre Pio raccontava spesso questa barzelletta ai frati del Convento: <<Due monaci cappuccini, appena fatti frati, vengono investiti da un camion e salgono in Cielo. Sono presentati a San Pietro, in questo modo: “San Pietro ci sono due cappuccini, freschi freschi”, e San Pietro, in dialetto romano, risponde: “e chi li ha ordinati?>>



Da: RaiNews24.it
Roma | 22 dicembre 2008
Voragine a San Pietro, ci finisce dentro un camion
Inserire didascalia
Inserire didascalia

 Un camion che trasportava materiale edile di scarto e' finito in una grossa voragine che si e' aperta improvvisamente, al passaggio del mezzo, in via della Stazione di San Pietro, nei pressi della Basilica, A Roma.

Il camion, appena uscito da un cantiere della zona, si e' inclinato su un lato, finendo con le ruote anteriori e posteriori dentro la voragine. Il camion, nel cadere, ha coinvolto una macchina che era parcheggiata, schiacciandola quasi completamente. Al momento dell'incidente, comunque, nesun pedone transitava nella piccola via che porta direttamente a San Pietro. I vigili del fuoco hanno transennato la zona.


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Ecco quello che c'è scritto nel romanzo <<La Camera del Silenzio (The Final Question)>>, Bastogi Editrice Italiana, Foggia dicembre 2007, di Francesco Paolo Pinello


[...]

... Io avevo delle radici in Puglia, caro lettore ... perché mio nonno era pugliese ... proprio così! ... Fino a quattordici anni, c'ero stato parecchie volte in Puglia, poi, alla morte di mio nonno, non c'ero più andato ... C'ero ritornato molti anni più tardi ... Ed era stato nel mio ritorno, durante il mio viaggio di ritorno, dopo la morte di mio nonno, che ero stato illuminato a San Giovanni Rotondo, a Monte Sant'Angelo ed a Castel del Monte ... Era come se il seme, piantato in me nella mia giovinezza, durante i miei viaggi giovanili in Puglia, e che faceva parte delle mie radici, soltanto allora,  a San Giovanni Rotondo, a Monte Sant'Angelo ed a Castel del Monte, fosse uscito fuori dalla terra, all'aria aperta ed alla luce ...

... Ancora ... la terra, l'aria aperta, la luce ... Sì, caro lettore!

Le grotte di Castellana, invece le avevo viste molti anni prima, nei viaggi della mia tenera giovinezza: le gocce d'acqua che al buio si sentivano stillare, e che non si vedevano e che si vedevano alla luce del sole, nei luoghi dove i raggi del sole ... la <<spada di fuoco>> ... potevano entrare da un buco, come si entra con il pene nel basso ventre di una donna per fecondarlo, o come si entra da una finestra o da una porta aperta; le gocce d'acqua che al buio si sentivano stillare, e che non si vedevano, e che si vedevano alla luce del fuoco di una torcia, o di una lampada elettrica.

Già ... l'elettricità... L'elettricità che a Carontìa Marina non c'era, mentre gli impianti elettrici delle case bruciavano, e, con loro, anche le case della povera gente ... della gente povera ... mentre il vecchio pescatore se ne stava sulla spiaggia con la sua croce, piantato in terra, come un vecchio seme.

Con la bottiglia in mano, che stillava a terra, in mezzo alle mie gambe aperte, pensavo alle gocce d'acqua che, salendo e scendendo, formavano le stalagmiti e le stalattiti, e che si vedevano alla luce del sole o di una torcia.

Durante quel viaggio in Puglia, il viaggio del ritorno illuminante, avevo visto anche <<La grotta di Monte Sant'Angelo>>, nella Basilica di San Michele arcangelo.

... San Giovanni Rotondo ... Castel del Monte ... Le <<Grotte di Castellana>> ... La <<Grotta di Monte Sant'Angelo>> ...

Lasciai cadere la bottiglia giù ... a terra ... ed il rumore del vetro interruppe i miei pensieri ... i mie ricordi ... i viaggi della mia memoria ...

Avevo preso quella bottiglia di minerale da dentro la macchina e, prima di sedermi sul labbro dell'abbeveratoio, avevo versato l'acqua dentro l'abbeveratoio. 

Adesso l'acqua, dentro l'abbeveratoio, c'era.

Presi un foglio di carta e scrissi: <<L'acqua c'è e Dio non c'entra niente. E' la conduttura idrica che non funziona>>.

Questo mi aveva detto mio padre!

Appesi il foglio di carta, che avevo appena scritto, accanto all'altra scritta, sull'abbeveratoio.

Ma, mio padre subito osservò: <<tra un po' il sole avrà fatto evaporare la tua acqua ed il vento avrà fatto volare via la tua carta>>.

<<Voglio risalire fino alla sorgente, papà. Voglio vedere da vicino quella montagna. Forse esiste qualche collegamento con i fenomeni di Carontìa Marina>>: dissi.

<<Dai sbrigati, andiamo. Ti aspettano a Catania e siamo in ritardo. Quello sulla montagna è un viaggio cazzuto. Dobbiamo entrare nel bosco e salire ... e poi... che c'entra quella montagna con Carontìa Marina?>>, mi domandò: <<Fatti guidare da Virgilio se devi andare all'Inferno ed in Purgatorio. Fatti guidare da Beatrice se devi andare in Paradiso. Ma, ai piedi della montagna della felicità terrena, stai attento alla Lupa ed alla sua fame di potere>>, concluse sibillino.

<<Un'intuizione, soltanto un'intuizione papà>>, risposi.

  

VII

(Il camionista e la guerra)

... Sì, la montagna ... la Montagna del Sole ...

Mentre dicevo quelle parole, passò un camion, di metallo, e travolse mio padre e la nostra macchina. Ricordo che il camion era carico di angurie, come carico di succo di anguria e di sangue diventò l'asfalto bollente.

Quella fu l'ultima volta che vidi il corpo di mio padre.

Quasi non lo riconoscevo.

Lui che avrebbe voluto continuare a costruire insieme a me il mio futuro, non ebbe neanche il tempo di salutarmi con un ultimo bacio.

Che dovevo fare? Da chi dovevo andare?

Baciai mio padre per l'ultima volta, già morto, e mi allontanai ... un poco. Il suo battito non c'era più. Il suo cuore lì non c'era più e neanche il suo fiato.

Il camionista mi chiamò: <<ragazzo ... ragazzo ... E' la guerra, ragazzo! E' scoppiata la guerra ... dove vai?... scappa anche tu! ... Mettiti in salvo! ... Credimi non volevo ... Io ... Io... non l'ho fatto apposta ... Credimi non volevo ... Quest'uomo .... quest'uomo ....Io non l'ho visto ... Quando sono passato, lui non c'era ... l'ho visto dopo ... dopo che sono passato ... soltanto dopo ... E' morto dopo che io sono passato ... dopo ... Lui è finito sotto il mio camion, dopo che io ero già passato... Si, è così ... è andata proprio così!>>.

<<Tu sei pazzo! La guerra? Quale guerra? Mio padre è stato travolto dal tuo camion dopo che tu eri già passato? Ma che cazzo dici? Questo è impossibile! Ti sei bevuto il cervello? Il caldo ti ha fatto uscire di senno? L'acqua all'abbeveratoio non c'è, e adesso per il metallo del tuo fottutissimo camion non c'è più neanche mio padre>>, risposi spiazzato e messo fuori strada dagli eventi e dalle sue strane parole, impaurito anche per la sorte della mia stessa vita, da lontano, iniziando a camminare lungo un sentiero, oltre la carreggiata, e poi fermandomi per parlare con lui.

[...]

XXVIII

(Il capo)

Dalla finestra della casa di Meb (una casa in cui i muratori avevano aperto porte e finestre!), guardai il capo dei figli di Zerouno, che era seduto nella casa con le acque nel pavimento e con il fuoco sulle acque.

Quel volto, quella faccia, quel viso non mi erano indifferenti.

Dove avevo visto quel profilo?

Possibile che io già conoscessi, da tempo, il capo dei figli di Zerouno? Ma come? Ma dove? Ma perché?

All'improvviso ricordai ... e come se ricordai!

<<Ma quello è il camionista!>>, dissi alla ragazza.

<<Sì, quello, il capo ... quello stronzo seduto lì ... è il fottutissimo camionista che ha ammazzato mio padre all'abbeveratoio. Che bastardo! Lui è il capo!>>.

Ricordai il camion, il metallo, che all'abbeveratoio aveva travolto il corpo di mio padre e la nostra macchina.

Ricordai il corpo riverso sull'asfalto di mio padre, senza più vita.

Ricordai il giuramento che avevo fatto a mio padre.

Dovevo riparare la conduttura per far ritornare l'acqua all'abbeveratoio, per fare abbeverare il bestiame divino alla sorgente delle Antiche Tradizioni Iniziatiche.

Adesso, potevo vendicarmi.

Quel fottutissimo camionista aveva ucciso mio padre ed io adesso potevo uccidere lui.

[...]

XXXIV

(La vista del castello)

Camminammo per un bel po' e giungemmo in un luogo ardente ricco di fumarole, di vulcanetti di fango, e di mofete.

Dalla terra si levava il fumo e nell'aria c'era un odore forte d'acido.

Quei luoghi mi fecero ricordare che, quando mi ero recato per la prima volta a Pozzuoli, lungo la statale Domitiana, andando  verso il Porto, ero rimasto incantato alla visione delle colonne del Tempio di Serapide che emergevano dall'acqua del mare.

Il livello dell'acqua del mare si alzava e si abbassava non per effetto della luna e delle maree, ma perché la Crosta Terrestre si alzava e si abbassava.

Come avrete già capito, spesso i ricordi mi venivano a trovare, però loro non erano nel mio passato, dietro di me, ma davanti a me, nel mio presente, erano la mia tradizione, i miei antenati, i miei viaggi che erano sempre davanti a me, che camminavano davanti a me e che mi aprivano la strada.

E nei miei ricordi, i fatti contavano sì, contavano nella loro storicità, ma contavano ancora di più le meditazioni spirituali, i simboli, le allegorie, le visioni.

Nel mio mondo, nel mondo dei miei ricordi, le persone, il loro sviluppo progressivo, la loro spiritualità, i loro errori, la loro formazione, contavano più delle cose e dei fatti, anche se le cose ed i fatti li mettevo sempre lì, in primo piano.

I miei ricordi, le mie tradizioni, erano l'Inizio, “ciò che è sempre avanti”.

Durante il mio viaggio in Campania, avevo visto le fumarole e le mofete dei Campi Flegrei.

Fu così che, nella mia mente, la visione meravigliosa delle colonne del Tempio di Serapide si accompagnò alle fumarole ed alle mofete, l'acqua al vapore di gas dei vulcani, la terra che bruciava e che evaporava all'acqua che saliva e che scendeva dentro il Tempio, in mezzo alle colonne, e che evaporava anch'essa al caldo del sole.

Mentre pensavo alle fumarole di Pozzuoli, mi ritornò ancora una volta alla memoria Carontìa Marina.

Chissà, al posto mio, cosa avrebbe detto il vecchio pescatore di Carontìa Marina ad Agostino!

Durante quel viaggio in Campania vidi anche gli scavi di Cuma, e vidi davanti a me l'Antro della Sibilla e pensai agli oracoli ed alle sibille. Dan!

Rividi così, nei miei ricordi, l'Antro della Sibilla, un lungo corridoio che come un budello entrava nella roccia tufacea per più di centro metri. Era un cordone ombelicale che aveva la forma di un rettangolo sormontato da un trapezio isoscele, per un'altezza complessiva di circa cinque metri.

Attraverso il cordone ombelicale, come in un canale, l'energia dei Campi Flegrei e del Lago di Averno entrava dentro la camera della sibilla e l'energia della sibilla usciva fuori dalla roccia, verso i Campi Flegrei e verso il Lago Averno.

La roccia della sibilla era gravida come il basso ventre di una donna, e dentro la Madre Terra c'era il feto ... c'era lei ... la Sibilla!

Era seduta nell'ampia sala interna, dentro la grotta, là dove conduceva il lungo cordone ombelicale dell'Antro, dentro un grande buco che si apriva, al termine del corridoio, come un'ampolla di alchimista e che aveva la forma avvolgente di una palla, di una pancia. In fondo al lungo corridoio, nella camera che si apriva ... in fondo alla camera ... sembrava di entrare dentro la porta di un arco, una falsa volta, ma oltre l'arco, dov'era seduta la sibilla, in fondo alla camera, c'era il muro, e nel muro non c'erano né porte né finestre. Immaginai la sibilla che se ne stava seduta sotto l'arco, davanti al muro. La vidi come una ragazza bellissima. Era come una pitonessa che aveva eccellenti capacità divinatorie. Immaginai che avesse ancora tra le mani i suoi Libri Sibillini, scritti sulle foglie delle palme. I Libri erano sul palmo delle sue mani, poggiati sulle sue cosce aperte, mentre lei se ne stava seduta, dentro l'arco che era dentro la roccia della camera, in fondo alla camera alla quale conduceva il lungo corridoio. I Libri erano il suo feto e contenevano tutti i misteri della vita. E come un feto, sarebbero cresciuti ed avrebbero camminato sulle loro gambe, sospinti dal fato. Era per questo che risultavano ambigui, perché erano sospinti dal fato mentre camminavano sulle loro gambe. Ai suoi piedi, vidi anche una bottiglia di vetro, vuota, gettata in terra dopo che aveva già stillato tutte le sue gocce d'acqua. La ragazza bellissima, la sibilla, mi sembrò un abbeveratoio dove si andavano ad abbeverare gli animali divini, mi sembrò una stalagmite che saliva dalla roccia della terra per stillicidio. La bottiglia d'acqua poggiava sopra i granelli della sabbia che erano come la spiaggia del mare, sul pavimento della camera.

E tutto intorno a noi, nella stanza, nel buco della roccia dov'eravamo, sentivo il canto delle cicale. Le cicale cantavano, e gli oracoli scritti sulle foglie delle palme cantavano.

Mi avvicinai alle sue cosce aperte. Toccai i suoi Libri e, tra le foglie, raccolsi per mangiarne i frutti maturi delle palme. Scartocciai un dattero come si scartoccia un Bacio Perugina, e sul bigliettino di carta lessi: <<Aurora, b.giorno. Sono arrivate le “sibille” che aspettavi!dan>>.

Scartocciai un altro dattero, e lessi: <<Io ti dico che i fatti di Carontìa Marina accadono perché è nato un bambino che farà trionfare il Male e il Bene. Iniziate a costruire la Sapienza, perché tutto sia pronto quando verrà il suo momento. Tu sei il prescelto. Tutto nella tua vita era predestinato, sia quello che hai voluto, sia quello che non hai voluto e che mai pensavi potesse verificarsi. Ma tu hai saputo mantenerti sempre dentro le vie del fato che hai percorso, grazie alle tue doti divinatorie>>.

All'esterno, le Grotte della Sibilla, il basso ventre gravido della roccia,  si collegavano al Lago di Averno, e cioè al lago dove per gli antichi Iniziati si aprivano le porte degli Inferi.

E mentre guardavo verso le porte dell'Inferno, sul Lago di Averno, mentre il fumo nelle mofete usciva fuori dalla terra raggiungendo le acque del lago, le cicale cantavano, e le acque del Lago di Averno facevano il rumore delle onde, e cantavano come a Carontìa Marina correvano e giocavano i bambini sulla sabbia, come granelli, in riva al mare, sbucando dalla polvere e dalle montagne di granelli, come appena nati.

Ed io sentivo correre i bambini di Carontìa Marina, su e giù come onde del mare, e nei miei ricordi li vedevo giocare sulla sabbia. E adesso li vedevo anche come angeli.

E mentre sentivo cantare le cicale, mentre pensavo alla porta dell'Inferno che si apriva sull'Averno, e ad Enea, ed a Paolo, e a Dante, mi trovai davanti, all'improvviso il castello ottagonale del camionista, maestoso e sobrio, alla fine del mio cammino, all'ultima fermata della via che stavo percorrendo, sopra una collinetta, al capolinea, mentre il cielo si stava per riempire di luce.

Mi fermai alla vista della collinetta, alla vista della strada che saliva, e del castello ottagonale, e presi nella mia la mano della ragazza, della giovane e bella figlia di “R”, come a chiedere conforto.

Il castello era una casa grande! Era la grande casa dell'Esodo raccontato dal vecchio pescatore ai bambini che correvano sulla sabbia di Carontìa Marina, con i loro sassolini bianchi e con le loro conchigliette bianche. Ne ebbi subito certezza, alla vista.

<<Siamo arrivati>>, fece lei, <<Ecco il castello che cercavi e per il quale abbiamo viaggiato>>.

Portai la mano alla collana che pendeva dal mio collo e strinsi forte il ciondolo avvolto nel quadrato di stoffa, il mezzo anello che la figlia del vecchio “R” mi aveva regalato, e anche lei fece lo stesso con il suo ciondolo, con il suo mezz'anello.

Ricominciammo a camminare. Mentre camminavamo e ci avvicinavamo sempre più al castello, mi sembrava di andare indietro nel tempo. Andavamo in avanti, verso ciò che doveva ancora accadere, e mi sembrava di andare indietro nel tempo.

La strada che dall'altopiano conduceva alla montagnetta del castello era come una piramide egizia, e cioè era come una macchina del tempo che concentrava ogni cosa che era volatile dalla sua base verso il suo vertice, dalla materia opaca verso le stelle, dalla pianura verso la vetta della collina dell'altopiano ed oltre. La piramide era rovesciata e poggiata a terra su uno dei suoi lati triangolari, e noi eravamo entrati dalla base quadrata, per raggiungere il castello. Ciò che era alla base della piramide era anche concentrato nel suo vertice.

Noi due, che ci tenevamo per mano, dentro le tre facce della Piramide riversa a terra, camminando, cominciavamo ad essere simili al castello, anche noi otto com'era ottagonale il castello.

Il vertice della piramide emetteva un verbo ed il mio cuore percepiva le vibrazioni luminose, ed io così cominciavo a comprendere e ad avere coscienza.

La base della piramide, dentro la quale eravamo entrati, era un enorme quadrato che si ergeva davanti a noi, come una grande porta sulla via che avevamo già percorso e lungo la quale avevamo camminato e viaggiato.

Eravamo entrati dentro la base della piramide e lì dentro c'era la stradina che conduceva al castello, dalla base della collinetta verso la cima.

La luce, mano a mano che procedevamo dalla base al vertice, diventava sempre più intensa e concentrata. La piramide era tronca, ed alla base del buco del vertice, sopra la piattaforma trasparente e cristallina, c'era il castello e sopra il castello c'era la porta della Luce, del Paradiso. Alla porta del Paradiso si arrivava mediante una scala tutta avvolta intorno ad un obelisco. Un altro obelisco era piantato in terra e c'erano dei buchi praticati nel suolo.

In realtà, sembrava che i castelli fossero due, perché uno poggiava sulla base trasparente e cristallina della piramide tronca e l'altro sulla base dell'altopiano, sulla base che era baciata dal vertice tronco della piramide. Però i due castelli si compenetravano l'uno nell'altro.

Più che il castello, mi colpì come la stradina saliva al castello.

Alla fine, percorrendo la piramide, giungemmo davanti al castello, sulla collinetta. Giunto sulla collinetta dell'altopiano mi meravigliò subito tutto quello che si riusciva a vedere da lassù. Tutt'intorno era pianeggiante, ed era una distesa immensa da tutte le parti. Allora capii perché il castello saliva con forma ottagonale dalla collinetta dell'altopiano verso il cielo. Bastava salire poco, in fondo, e, quando tutt'intorno era pianura, lo sguardo diventava lungo e penetrante, molto penetrante.

Cominciai a guardare tutt'intorno, il castello, la pianura circostante, il cielo sopra di me. Come avremmo fatto ad entrare dentro il castello? Come? Ma non ebbi più dubbi e cominciai a camminare lungo il perimetro del castello. Ad un metro circa dal suolo, notai dei buchi nelle pareti del castello, uno ogni dieci metri lineari circa. I buchi, cioè, si distanziavano l'uno dall'altro 10 metri circa ed erano tutti ad un metro circa d'altezza dal suolo. Di tanto in tanto, si vedevano a terra delle piume d'aquila. Cominciai ad infilare la mano dentro i buchi delle mura, come in un nido alla ricerca delle uova. Dal primo buco tirai fuori una pietra bianca di calcare, uguale alla pietra con la quale era costruito il castello. Era una piccola pietra già squadrata. Qualcuno ci aveva lavorato sopra. Me la misi in tasca. Entrando ed uscendo con la mano dai buchi delle pareti del castello, tutto d'un colpo, mi fermai di botto. Avevo toccato del metallo. Che cos'erano quei pezzi di metallo che avevo toccato? Istintivamente tirai fuori la mano dal buco ... ma poi la ficcai di nuovo dentro ed estrassi fuori il metallo, alla luce. Erano sette chiavi d'oro.

<<Guarda!>>, dissi pieno di soddisfazione alla ragazza, <<Ho trovato sette   chiavi d'oro! Ero sicuro che le avrei trovate. Non so perché, ma lo sapevo già. Me lo sentivo!>>.

<<Sono le chiavi del castello>>, fece lei.

Avevo trovato le chiavi per entrare dentro il castello. Il fato era con me, voleva che io entrassi nel castello ed io avevo iniziato a divinare. Sette stava per il braccio orizzontale della croce, per l'acqua, per il principio femminile, otto stava per il braccio verticale della croce, per il fuoco, per il principio maschile. Il sette, nell'aria, nella cima della collina, entrava nell'otto per fecondarlo e per concepire una nuova dimensione, a cui l'otto avrebbe dato una forma nuova di vita, portandola alla luce. Il sette era la mia discussione con il monaco eremita, sotto il fico a forma d'ombrello, ed era le chiavi d'oro del castello. L'otto era il castello che avevo davanti a me e che guardavo. Otto era il cubo di due, il castello cioè era noi due moltiplicato per tre. Il castello era come se fosse la scala per salire dalla voragine del centro della terra verso il cielo, ma anche la scala per scendere giù, molto più giù. Tutto doveva equilibrarsi nell'otto, nel castello, per consentire a  tutte le energie che si tenevano in scacco a vicenda di incontrarsi in un punto fisso, in un sole, nello spirito nuovo che avrebbe irradiato la materia nuova, perché anche la materia si rinnova, si ammala e guarisce o muore.

Mi avvicinai alla porta e, molto lentamente, piano piano, infilai la prima chiave d'oro e la girai, poi la seconda, e così via fino alla settima. Quando girai la settima chiave l'enorme porta del castello si aprì.

Feci segno alla ragazza di starsene lì e di non entrare dentro, e così si fermo sopra una roccia, in prossimità della stradina che scendeva giù dalla collinetta del castello, in prossimità del vertice tronco della piramide. A guardarla, era come se lei fosse dentro uno dei due castelli ed io nell'altro, ed entrambi ci compenetravamo.

Appena fui dentro, la porta si chiuse alle mie spalle. Entrato dentro vidi davanti a me un largo corridoio ottagonale che correva lungo tutto il perimetro del castello. Erano le camere del castello. Ed uscendo fuori dal corridoio, dalle camere, vidi un cortile interno, a forma ottagonale, dal quale si vedeva il cielo.

Cominciai a camminare dentro le camere del castello, che avevano la forma di trapezi con il lato esterno, quello lungo, verso la pianura ed il lato interno, quello corto, verso il cortile, anch'esso ottagonale. Giunsi così davanti un muro. Notai una porticina. Entrai dentro la porticina e vidi che c'era una scaletta a chiocciola strettissima, ricavata nella pietra, che saliva a destra al piano superiore. Mi fermai ai piedi della scala interna.

<<MI-KA-EL!>>, sentii quando mi fermai, <<MI-KA-EL! Sali su! Vieni, ti aspettavo!>>. Era il camionista che pronunciava il mio nome e che mi chiamava.

Salii gli scalini della scala a chiocciola e dopo un po' fui al piano superiore, uscii dalla porticina e cominciai a camminare nel corridoio di stanze a forme di trapezio che correva lungo tutto il perimetro del castello. Lì, in quelle stanze, non c'era nessuno. Salii al secondo piano. E fu la stessa cosa. Mentre camminavo nel corridoio delle stanze e cercavo dappertutto il camionista, ad una delle finestre che davano nel cortile interno, vidi un passero che mi guardava e che, evidentemente, era giunto lì, alla finestra, volando dentro l'ottagono del cortile interno. Mi avvicinai alla finestra e lui non scappò via. Mi avvicinai ancora un po'. Fu allora che pensai al regolo. Mi feci davanti a lui e gli accarezzai la testa. Non scappò. Allora gli toccai nuovamente il capo, lo salutai e andai via. Infine, salii sulla terrazza che correva, come un corridoio ottagonale, lungo tutto il perimetro del castello. Guardai verso l'interno e vidi il cortile ottagonale, che era sotto. Guardai verso l'esterno e vidi la pianura che era distesa e che riposava tutt'intorno al castello, davanti a me.  Vidi anche la ragazza, seduta sulla roccia. Guardai in cielo e vidi un'aquila che volava proprio dietro la mia testa.

<<MI-KA-EL, eccoti finalmente!>>, mi disse il camionista quando me lo ritrovai davanti, <<Ci rivediamo a quanto pare! La prima volta, all'abbeveratoio c'è scappato il morto, ricordi? E questa volta? Te l'avevo detto di metterti in salvo, di scappare dalla guerra. Tu invece no! E, adesso, eccoti qui! Sentiamo un po': che vuoi tu da me? Che cosa cerchi?>>

<<Sono venuto a riprendermi i bambini del villaggio>>, risposi.

<<I bambini del villaggio? Ma che ne sai tu dei bambini del villaggio! Non sono qui! Sono in miniera. Spalano pietre e rocce per la lava del grande vulcano. A quanto pare hai fatto un viaggio a vuoto!>>.

<<Non penso proprio>>, risposi.

<<E, allora, visto che i bambini qui non ci sono, è me che cercavi!>>.

<<Sì, cercavo te! Cercavo i bambini! Cercavo gli uomini malvagi!>>, risposi.

<<Voi uomini cercate disperatamente di scappare dai visceri, dalle vostre passioni viscerali e morbose e poi ci cascate sempre dentro fino al collo. Io sono i visceri! Eccomi! Io sono i visceri di tutti gli uomini del mondo. Io sono quello che complica sempre le cose, e di brutto! Tutti gli abitanti della terra sono in marcia e stanno per venire a me. Non vedi il caos? Li vedi gli uomini? Si muovono senza più punti di riferimento, senza più coordinate, senza più bussole, senza più valori. Ma dove vogliono andare in questo modo? Dove pensate di andare con questi viaggi dell'ultimo minuto? Non vedi quanto odio c'è nei loro occhi e nelle loro mani?  Non vedi come sono pronti ad aggredire e ad ammazzare? Non vedi quanta puzza putrida di marciume c'è per le strade? Non vedi gli uragani, e i tifoni, e i terremoti, e le onde anomale e le acque calde del mare che stanno travolgendo ogni cosa? Non vedi che le società stanno evaporando? Non vedi me in tutto questo?>>

<<Si che ti vedo!>>, risposi, <<Ti ho sempre visto, dappertutto, in ogni posto dove sono stato, in ogni mio viaggio, in ogni luogo, in ogni mio ricordo. Ma dimmi perché gli impianti elettrici delle case di Carontìa Marina stanno bruciando, e perché stanno bruciando le case della povera gente?>>, continuai.

<<E' Satana che bussa alle loro porte e visto che per lui le porte che contano veramente, quelle del Paradiso, non saranno mai aperte, brucia gli impianti elettrici delle case, e brucia le case e per vendetta vuole fare evaporare tutte le acque della terra. Caro mio se lui è fuoco allora tutto dev'essere fuoco e tutte le acque devono evaporare! Senza più acqua, nessuna generazione ci sarà più e nessuna nascita. Senti vecchio, gli uomini hanno già detto a Satana che lui non ridiventerà mai più piena luce e puro spirito, che lui non varcherà mai più la porta del Paradiso, e lui sta per dannarvi tutti!>>, così mi rispose ed a queste parole sbottò a ridere.

Ecco qual'era la maledizione di Carontìa Marina! Ecco perché, a Carontìa Marina nessuno lo sapeva o lo diceva! La maledizione era quella del Diavolo che era stato maledetto per la sua ribellione e che era stato condannato alle fiamme dell'Inferno per l'eternità, alla lava dei vulcani. Per lui non ci sarebbe stata più salvezza. Per lui non ci sarebbe stato il giudizio universale. Lui era già stato condannato, senza appello ed in eterno. Ma lui non si era rassegnato e si preparava a bussare per ottenere il consenso del Vicario di Cristo, e se Lui non lo avesse fatto entrare in Paradiso avrebbe distrutto ogni cosa che Dio aveva creato. Questa era la maledizione del Diavolo e dell'Etna!

<<Ed i bambini? Saranno dannati anche i bambini?>>, gli chiesi, <<Che colpe hanno i bambini?>>

<<Nel vostro mondo ci sono milioni e milioni di bambini che sono soldati, cavie per mine giocattolo, piccole prostitute per i giochi più perversi, pezzi di ricambio, cuori, fegati, milze e reni in sostituzione ed a buon mercato. Che colpe hanno i bambini? Perché ti scandalizzi per quello che vuole fare Satana? Perché ti scandalizza l'idea che il fuoco possa fare evaporare tutte le acque e che non ci sarà più nascita e generazione di bambini? Perché non ti piace l'idea che il mondo sarà abitato soltanto da macchine umane con intelligenza e coscienza artificiali? Perché, vecchio? 1000 euro per un bambino ammazzato, 500 euro per una donna ammazzata, 250 euro per un uomo scannato. Non è così che funziona? E già, è proprio così che funziona! Il futuro del mondo sono i bambini, ecco perché loro costano di più! anche più delle donne che formano la vita! Io invece li faccio lavorare nelle viscere della mia terra, nel mio vulcano. Ti sembro forse più malvagio io? Più diabolico? Più assatanato? Vedi, mi dispiace soltanto per la gente di Carontìa Marina. E cosa può fare quella povera gente se non prendere atto che è così e contare i suoi morti e le case bruciate!>>, sbotto nuovamente a ridere.

<<Sono i bambini i nostri veri maestri, ricordalo! Sono gli appena concepiti, i feti, i semi piantati dentro le caverne e le grotte. L'uomo superiore non è l'uomo macchina, che ha intelligenza e coscienza artificiali>>, risposi.

<<E sentiamo, chi sarebbe l'uomo superiore? Almeno a questa domanda puoi rispondere, se non ti imbarazza troppo!>>

<<E' l'Iniziato>>, gli dissi.

<<Quanto sei ingenuo vecchio mio! Già è vero, io sono il capo degli uomini macchina e dei malvagi ed è per questo che tu parli a me in questo modo! Mi sembra logico! Ma io sono il capo perché sono stati loro a volerlo, non ti pare? Perché li faccio arricchire come nababbi, li faccio sbavare come maniaci, li faccio fottere come pazzi, li faccio mangiare come maiali!>>

<<Sai una cosa? Hai ragione, è proprio te che cercavo, le mie viscere, le mie radici profonde, il putrido ed il marciume del mio Spirito di lava. E' per la povera gente di Carontìa Marina che sono qui, per la gente povera di Carontìa Marina, per gli uomini e le donne che sanno aspettare in silenzio, che sanno ascoltare il cielo e la natura, che si fermano a guardare senza andare oltre. Per la gente cotta dal sole che ha il sole tra le rughe della sua faccia e nella pelle scura del suo corpo, che rispetta il cielo e la natura come un tempo si rispettavano il cielo e la natura. Per la gente con la pelle salata che prima di entrare in acqua per andare a pescare si fa il segno della croce e guarda il sole e scruta il cielo e segue con gli occhi il volo degli uccelli. E' per la povera gente di Carontìa Marina che sono qui, e non soltanto per loro, ma sono venuto anche per i bambini che hai fatto deportare nel tuo villaggio. Loro non si sono arricchiti, non sbavano, non fottono come maniaci, non mangiano fino a scoppiare come porci!>>.

<< Mio caro bambino com'è nobile e candido il tuo cuore!>>.

Il camionista si girò di scatto e mi mostrò l'altra sua faccia, <<Ma tu lo sai che se il tuo cuore è questo è perché tu sei stato fatto per seguire la retta via? Se sono i bambini che vuoi allora li otterrai da me soltanto con la spada>>.

<<La spada a doppio taglio di Carontìa Marina?>>

<<Bravo, proprio quella Mikael!>> mi rispose. 

La spada a doppio taglio di Carontìa Marina! Capii allora che Carontìa Marina era la soglia di passaggio, la porta tra la realtà ed il virtuale, tra una dimensione e l'altra, tra l'uomo che giocava ed il videogioco. La soglia: la spada a doppio taglio di Carontìa Marina: su un taglio, a strapiombo, c'era il videogioco, sull'altro l'uomo che giocava. Il videogioco voleva assorbire completamente l'uomo facendolo entrare nel suo mondo, eliminando la soglia di passaggio affinché non potesse più ritornare indietro sui suoi passi. Ma l'uomo che giocava aveva delle cose dentro di lui che non potevano entrare nel buco della macchina. Aveva i visceri. In lui c'era il Diavolo!  E la via per la Luce partiva proprio dai suoi visceri! Aveva i suoi sentimenti, le sue passioni, ma anche i suoi polmoni, il suo cuore, la sua intelligenza e la sua coscienza naturale. Il videogioco non avrebbe mai potuto eliminare la soglia di passaggio, perché queste cose sarebbero rimaste sempre aldilà del buco. Era per questo che le case di Carontìa Marina bruciavano, perché il Vicario di Cristo non voleva che il Diavolo ritornasse in Paradiso e perché l'uomo, da parte sua, voleva che Dio e il Diavolo uscissero definitivamente fuori  dalla sua vita per entrare completamente dentro i videogiochi, dentro il virtuale, nel mondo artificiale delle intelligenze e delle coscienze, dentro il buco della macchina. E nessuno riusciva a spegnere quel fuoco, perché la guerra era in corso, perché dentro l'uomo c'era questa guerra, perché il Diavolo maledetto reagiva in questo modo. L'uomo era come il Minotauro che era all'inizio di Carontìa Marina, all'ingresso delle prime case del Paese.

Quelli che nel mondo contavano veramente e che avevano il potere dei quattrini volevano che l'uomo diventasse completamente macchina, completamente artificiale, completamente virtuale, completamente videogioco, e volevano che nelle società la democrazia diventasse meramente formale, artificiale, e che tutti i comportamenti umani diventassero finalmente calcolabili con certezza ed esattezza matematica. Ma l'uomo, come il Minotauro, era per metà uomo e per metà bestia. Sì, e già! Lui era un animale divino!

Fu allora che ripensai al vecchio pescatore di Carontìa Marina e alla sua croce. Fu allora che mi sentii un giovane vecchio che viveva di ricordi, anche quando il presente era terribile e diabolico. Lo facevo perché ero un giovane vecchio? o perché ero un vecchio giovane? Forse lo facevo perché ero diventato veramente introspettivo e perché avevo cominciato a divinare! Perché volevo raggiungere le mie radici profonde e viscerali.

Ma in fondo meglio se ero fatto così, visto dov'ero arrivato. Mi trovavo dentro il castello e volevo che le mie radici più profonde, quelle che affondavano nella lava dell'Etna, salissero in alto, per prendere per mano i bambini deportati nel villaggio di Meb e tutta la povera gente di Carontìa Marina e per tirarli fuori da quell'inferno.

<<Dai usa la spada, vecchio, usa l'obelisco, fai vedere che sei cazzuto e che hai le palle!>>, disse il camionista, <<Non vuoi ammazzarmi? Non vuoi scannarmi come un putrido e fetido cane? Non vuoi vedere il rosso del sangue e del mio succo d'anguria? Dai confessami la verità! Non fare il sant'uomo! Io, in fondo, molto in fondo, sono l'assassino di tuo padre! Non è così? E' per tuo padre che devi farlo! E' lui che grida vendetta dalle viscere della terra e dal fuoco dove l'ho ficcato! E' per lui che devi fare giustizia!>>

<<Io non sono un giudice! Io sono un avvocato! Per fato, sono qui per chiedere al Vicario di Cristo il ritorno di Satana tra i pilastri delle porte del Paradiso. E' ai copritori della porta del Paradiso che sto parlando!>>, risposi.

Il camionista mi offri la spada che brandiva in mano. <<Prendila>>, mi disse, <<con questa spada io posso trasfigurare in te e tu puoi trasfigurare in me come Lucifero può trasfigurare nell'arcangelo Michele e l'arcangelo Michele in Lucifero. Dai adesso trafiggimi il cuore, così io attraverso la tua spada salirò alla tua luce e tu scenderai ai miei visceri dove affondano le tue radici! Non è la gente spirituale che ami? La gente povera di cose terrene e rumorose? Non è per loro che sei salito al castello? Non sei salito al castello con tutta quella gente addosso? Non hai le tue radici tra le rughe dei loro visi, dentro i loro visceri? Non vuoi liberare i bambini che ho fatto deportare nel villaggio e che tengo prigionieri nelle caverne? Se vuoi tutto questo, vecchio mio, devi sprofondare dentro le mie diaboliche viscere, devi entrare nel mio Inferno, devi ficcarti dentro la lava del vulcano! Dai uccidimi. Che aspetti? Lurido verme, uccidimi! Serpente a sonagli. Uccidimi!>>

Il camionista aveva ragione. Se volevo arrivare nel fondo più profondo delle mie radici dovevo fare i conti con i miei visceri. Era con Lucifero che dovevo fare i conti, con la lava del suo vulcano, con le fiamme del suo Inferno. Era quella la strada che adesso dovevo seguire se volevo liberare i bambini e la povera gente di Carontìa Marina. Dovevo trafiggere il cuore del camionista con la spada di fuoco che lui brandiva in mano, con la spada di fuoco delle case bianche, vecchie e smunte di Carontìa Marina, con la croce del vecchio pescatore di Carontìa Marina, con il serpente, con il dragone che saliva dal mare, e con quello che scendeva dal cielo. Il suo cuore era il punto preciso della trasfigurazione.

Di scatto, presi la spada che il camionista brandiva in mano e gliela conficcai nel cuore.

<<L'ultima domanda! Adesso non rimane che l'ultima domanda!>>. Queste furono le ultime parole che disse il camionista prima di morire. Quando morì, un lampo di luce percorse la spada di fuoco. Io divenni lui e lui divenne me. Come succhiato dentro una tromba d'aria, dentro un vortice enorme, cominciai a scendere dentro le viscere della terra, nel fuoco, nelle fiamme, nella lava, giù, sempre più giù, veloce, sempre più veloce. Vedevo fiamme, e fuoco, e lava, e fiumi di lava che scorrevano sotto di me, come acqua, accanto a me, sopra di me. Ero diventato un proiettile sparato contro il cuore di Satana attraverso la canna del fucile dell'Etna. Stavo per arrivare all'origine del vortice, alla fonte, nel punto più basso ... Stavo per arrivare ... Correvo ... più forte ... sempre più forte ... Alla fine giunsi dentro il cuore di Satana. Il suo sangue mi allattò tutto, mi abbeverò completamente, mi macchiò il corpo, mi entro dalla bocca, dalle narici, dalle orecchie, dagli occhi, dal buco del culo, dal cazzo, dai pori della pelle. Mi entrò dentro! Tutto dentro! Quando tutto il suo sangue si fu mescolato con il mio, uscii fuori dall'altra parte del suo petto, come un proiettile che entra da un lato per uscire dalla parte opposta. Appena fui di nuovo fuori dal vortice e fui di nuovo me stesso, vidi che la bocca del camionista aveva cominciato ad aprirsi. Si divaricava sempre di più, sempre di più. Prima come un tubo, poi come un secchio, poi come un pozzo, infine come la galleria di una grotta enorme. Quando la bocca del camionista divenne la galleria, sentii il canto dei gabbiani, ed il rumore delle onde che si rompevano sugli scogli. Mi ritrovai a Cefalù, sotto le  mura megalitiche, sul mare, dentro la Basilica-Cattedrale, davanti all'Altare d'Oro, difronte alla Trasfigurazione. Mi ritrovai a Carontìa Marina, sulla spiaggia, ad ascoltare i bambini che correvano e che giocavano in mezzo alle montagne di sabbia. Mi ritrovai a San Giovanni Rotondo, davanti alle icone della Chiesa vecchia di San Pio, quella del convento. 

Dalla bocca del camionista cominciarono ad uscire a fiume i bambini che erano stati deportati nel villaggio. Cantavano, facevano il rumore delle acque, ed erano profumati. Sì, erano profumati! Sembravano degli angioletti del Paradiso. Erano in fila, ed uscivano a gruppetti, di due, di tre, di dieci, di cinque, di sei. Erano bellissimi ed io mi ruppi nel pianto e non seppi più trattenermi. Corsi loro incontro e me li abbracciai tutti, uno per uno per uno, mi inginocchiai e piansi, piansi a dirotto.

<<Aurora, b.giorno. Sono arrivate le “sibille” che aspettavi!dan>>

[...]


 




 
 

 




[Modificato da zsbc08 22/12/2008 18:36]
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